Uno Stato fantoccio con truffatore a capo
Il sonno del diritto internazionale genera mostri: la Russia utilizza il suo Stato fantoccio per compiere omicidi di prigionieri.
Uno Stato fantoccio con truffatore a capo
Il sonno del diritto internazionale genera mostri: la Russia utilizza il suo Stato fantoccio per compiere omicidi di prigionieri.
Uno Stato fantoccio con truffatore a capo
Il sonno del diritto internazionale genera mostri: la Russia utilizza il suo Stato fantoccio per compiere omicidi di prigionieri.
Il sonno del diritto internazionale genera mostri: la Russia utilizza il suo Stato fantoccio per compiere omicidi di prigionieri.
I ruscisti puniscono con la pena di morte i combattenti ucraini aventi doppio passaporto con lo scudo di un’entità politica che vanta meno riconoscimenti legali di Gardaland. Soprattutto, è sicuro che Sabrina De Carvalho – amministratrice del parco lombardo – saprebbe governare il Donbas molto meglio della dittatura militare improvvisata dal miracolato Denis Pušilin.
Prima del 2014 il “presidente” collaborazionista d’altronde non era altro che un politico fallito e un mediocre truffatore, avendo fatto il “caporale” nello schema Ponzi piramidale della MMM-2011 (riedizione della MMM originale che lasciò un buco di miliardi di rubli negli anni Novanta). Come per molti altri furfanti ucraini, l’avventura donbasiana del terrorista russo Igor Girkin diede a Pušilin la possibilità di immaginarsi una nuova vita dove, grazie all’opportunismo e al servilismo, poteva aspirare al ruolo di spicciafaccende di una potenza regionale. Forse non sapremo mai davvero perché i russi abbiano scelto lui come capo dello Stato fantoccio, ma se ha passato il duro regime di brogli elettorali ed eliminazioni extragiudiziali di cui è costellata la politica della cosiddetta “Repubblica Popolare di Donec’k” (RpD) non è stato certo grazie alla sua autonomia decisionale.
In cambio della fedeltà assoluta, ha così potuto coronare il sogno di fondare una vera e propria Pušilintopia dove però le montagne russe hanno come stazione d’arrivo le trincee del fronte. All’avvio dell’Operazione “Z” non ha perso infatti un secondo nel promulgare la mobilitazione generale dei suoi sudditi, lanciando in combattimento persino la filarmonica della sua capitale. Queste schiere di poveracci cooptati sono infima truppa coloniale che i siloviki armano con fucili Mosin a colpo singolo, elmetti sovietici, giubbotti anti proiettili sforacchiati e macchiati dal sangue dei loro sfortunati primi utilizzatori. Una situazione di questo tipo è tuttavia intollerabile e così ben tre battaglioni hanno già chiesto tramite pubblici videomessaggi quantomeno la rotazione dei propri membri, sfiniti dai combattimenti a Marienpol. Per tutta risposta, i portavoce di tali unità sono finiti presto in mano all’Fsb, i servizi segreti della sicurezza interna russa, e da allora non vi sono loro notizie.
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Data la grande richiesta russa di carne da cannone, che preferisce non disturbare i moscoviti e i pietroburghesi con una quisquilia come la mobilitazione militare, si è dovuto trovare comunque un altro modo per rimpolpare i ranghi. Così il Primo corpo d’armata, l’esercito della RpD, si è riempito di criminali – come ai tempi della prima guerra del Donbas – svuotando persino le carceri di Chersòn dove ora gli ex detenuti spadroneggiano col benestare dei soldati delle truppe russe d’occupazione.
Non pago di questo, il pupazzo di Donec’k ora si presta anche a fare il boia del Cremlino riguardo il destino di tre prigionieri di guerra, arresisi al termine dell’assedio dell’Azovstal: gli angloucraini Aiden Aslin (conosciuto come Cossackgundi) e Shaun Pinner, e l’ucraino marocchino Saaudun Brahim.
“Astra”, un canale Telegram di giornalisti russi soggetti a persecuzione nel loro Paese, ha pubblicato a tal proposito un video molto singolare dove coppie in costume ottocentesco danzano leggiadre in una piazza di Mosca mentre dietro, su un display a scorrimento, si legge la notizia delle condanne a morte dei “mercenari” di Azov da parte di un tribunale della RpD. Questa scena grottesca, degna di un film di Kusturica, è un’involontaria ma precisa metafora della bancarotta morale della società civile delle ricche città russe dell’Ovest, arrivata alla quiescenza di fronte a una condanna a morte promulgata dalla Russia sotto pseudonimo.
Di Camillo Bosco
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