Gli anni della disco music, allo Studio 54 nacque un’epoca
| Esteri
La storia del celebre Studio 54 inizia una sera di metà anni Settanta a New York, in un ristorante. E, come tutte le leggende che si rispettino, inizia per caso
Gli anni della disco music, allo Studio 54 nacque un’epoca
La storia del celebre Studio 54 inizia una sera di metà anni Settanta a New York, in un ristorante. E, come tutte le leggende che si rispettino, inizia per caso
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Gli anni della disco music, allo Studio 54 nacque un’epoca
La storia del celebre Studio 54 inizia una sera di metà anni Settanta a New York, in un ristorante. E, come tutte le leggende che si rispettino, inizia per caso
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Questa storia inizia una sera di metà anni Settanta a New York, in un ristorante. E, come tutte le leggende che si rispettino, inizia per caso. Il suo primo protagonista si chiama Steve Rubell, un ragazzo di Brooklyn – agente di cambio a Wall Street – con il pallino degli affari, dato che ha già aperto due ristoranti. Una sera nel suo locale incontra un’amica che è lì a cena con un tizio che sta frequentando e che è il nostro secondo protagonista. Lavora nel campo del diritto immobiliare e di nome fa Ian Schrager. Steve e Ian già si conoscono, hanno frequentato la stessa università, così quella sera rimangono a parlare fino a tardi dei rispettivi progetti. Si mettono in società e di lì a poco aprono insieme un club nel Queens. Entrambi ambiziosi, capiscono presto che per fare qualcosa di grande bisogna però andare nel cuore di New York, a Manhattan. L’occasione la fiuta Schrager: sulla 54esima strada c’è in vendita un vecchio studio-teatro della Cbs. I due si fanno prestare 400mila dollari, lo comprano e il 26 aprile 1977 inaugurano lo Studio 54.
L’idea di base è quella di scioccare Manhattan creando un luogo che ospiti ogni sera la più grande e trasgressiva festa del mondo. Alla serata inaugurale partecipano le principali celebrità del jet set newyorchese, da Frank Sinatra a Diana Ross, compreso un giovane Donald Trump accompagnato dall’allora moglie Ivana. Fra musica ad altissimo volume, serate a base di stravaganza, orge e consumo libero di droga, lo Studio 54 diventa non soltanto il centro della vita notturna newyorchese, ma in un certo senso il luogo di riferimento di tutta una cultura edonista che stride con la dura realtà sociale della città in quegli anni. È anche il primo locale a operare la selezione all’ingresso, ma capace di promuovere l’inclusione sociale adottando una politica che prevede un 20% di clienti gay e almeno il 10% di lesbo o trans. Per questo Andy Warhol – habitué dello Studio 54 – attribuì lo strepitoso successo del locale al suo essere «una dittatura all’ingresso e una democrazia sulla pista da ballo». Ne sa qualcosa anche Nile Rodgers, il fondatore degli Chic (iconica band di quel periodo): dopo essere stato respinto all’ingresso nel capodanno del 1977, scriverà – non senza una vena polemica – “Le freak”, un brano ispirato proprio dallo Studio 54 che diverrà una pietra miliare della disco music.
Intanto Rubbel e Schrager iniziano ad avere qualche problema. Nel dicembre 1978 un’irruzione della polizia consente di scoprire sacchi pieni di banconote nascosti nel seminterrato, oltre a una discreta quantità di droga. Nel giugno 1979 i due imprenditori vengono accusati di evasione fiscale, ostruzione della giustizia, falso in bilancio e condannati a 3 anni e mezzo di prigione e al pagamento di una multa di 20mila dollari a testa.
Nella notte fra il 2 e il 3 febbraio 1980, lo Studio 54 chiuderà i battenti per sempre e lo farà alla sua maniera: con una gigantesca festa alla presenza di numerose celebrità. Steve e Ian entrano in prigione il giorno dopo e vendono il locale a novembre dello stesso anno. Verranno rilasciati nel gennaio 1981, dopo aver collaborato con la polizia nelle indagini su altri proprietari di locali coinvolti nell’evasione fiscale. Una volta liberi, riprovano a rimettersi in pista. Ma ormai la magia è finita e con essa anche gli anni Settanta, un’epoca cupa e scintillante al tempo stesso, fatta di chiaroscuri e dell’illusione che il mondo iniziasse e finisse a New York. Su una pista da ballo.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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