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Il mercato e le scelte libere saranno l’arma migliore

La Cop26 si è conclusa con un accordo unanime su una lista di buone intenzioni. Tutt’altro che un fallimento, bensì l’avanzamento di 200 governi di Paesi diversi verso una direzione giusta.
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La Cop26 si è conclusa come era prevedibile: accordo unanime su una lista di buone intenzioni, non accompagnata da impegni vincolanti. Un ‘fallimento’, dunque? Non direi proprio. Il cambiamento climatico è per definizione una sfida che richiede azioni su scala planetaria, ma riunire 200 diversi governi con interessi contrastanti e immaginare che possano unanimemente approvare misure concrete è pura utopia. L’importante, in conferenze mediatico-diplomatiche del genere, è che si avanzi nella direzione giusta. Il “bla bla bla” è scontato, dato il metodo prescelto, non certo una sorpresa.

Mancando impegni intergovernativi vincolanti, come avanzare con la rapidità imposta dalle circostanze? Cominciando col riconoscere il fatto che i governi non sono re-taumaturghi, capaci di curare il mondo per magia o per editto, e che progressi rapidi e molto importanti possono derivare dalle decisioni imprenditoriali, dall’allocazione dei capitali privati e dalle scelte individuali dei cittadini stessi.

Quando l’Unione europea e vari importanti Stati americani discutono di proibire da qui a dieci o quindici anni la vendita e la circolazione di veicoli a combustibile fossile, i produttori di automobili sono spinti dal loro stesso interesse economico di lungo periodo a mettersi subito in concorrenza con Elon Musk e a spendere decine di miliardi nei prossimi cinque anni per migliorare l’efficienza delle batterie, riducendone il costo.

Non lo fanno per ordine del ‘gosplan’, ma perché hanno capito che è su questo terreno che nei prossimi due decenni, nel loro settore, si definiranno vincitori e vinti. Ovviamente, eventuali incentivi fiscali pubblici possono accelerare il processo, ma assai più conteranno le decisioni individuali di milioni di cittadini-consumatori. Oggi decido di comprare un’auto diesel perché risparmio qualche migliaio di euro rispetto al modello elettrico, ma se tra qualche anno con il diesel non potrò più circolare in città e il prezzo del carburante è destinato a salire, faccio due conti e compro l’auto elettrica.

Se poi Cina e India continuano a inquinare col carbone sono sovrani nel farlo, condannando così i propri residenti a vite più brevi, ma noi siamo altrettanto liberi di bloccare o tassare pesantemente le loro esportazioni. Insomma, il mercato, intelligentemente orientato da scelte pubbliche di lungo periodo e decisioni private di imprese e cittadini, resta il più potente strumento di cambiamento a nostra disposizione.

 

Di Ottavio Lavaggi

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