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Il momento decisivo di Trump

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La decisione di Donald Trump di bombardare i tre siti strategici del programma nucleare iraniano è arrivata dopo un cambio di posizione all’interno del suo entourage

Il momento decisivo di Trump

La decisione di Donald Trump di bombardare i tre siti strategici del programma nucleare iraniano è arrivata dopo un cambio di posizione all’interno del suo entourage

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Il momento decisivo di Trump

La decisione di Donald Trump di bombardare i tre siti strategici del programma nucleare iraniano è arrivata dopo un cambio di posizione all’interno del suo entourage

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La decisione di Donald Trump di bombardare i tre siti strategici del programma nucleare iraniano è arrivata dopo un cambio di posizione all’interno del suo entourage. Inizialmente contrario all’intervento diretto. Preoccupati di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto prolungato, nonché del rischio che gli attacchi sui siti nucleari non ottenessero i risultati sperati, i consiglieri della Casa Bianca suggerivano al presidente di continuare a sostenere Israele limitandosi al supporto di intelligence e alle forniture militari.

Tuttavia, mentre Trump valutava l’opzione degli attacchi mirati, spiegava di non avere alcun interesse nel cercare di provocare un cambio di regime a Teheran. Né tantomeno di impegnarsi in una guerra prolungata. A quel punto una parte dei suoi consiglieri ha iniziato a schierarsi a sostegno dell’ipotesi del bombardamento degli impianti di Fordow, Natanz e Esfahan.

Secondo le fonti di Axios, il momento decisivo è arrivato dopo il fallito tentativo di aprire un canale diplomatico segreto con l’Iran. Nei giorni successivi ai primi attacchi israeliani Trump avrebbe chiesto a Recep Tayyip Erdoğan di organizzare rapidamente un vertice a Istanbul. Tra funzionari statunitensi e iraniani. Sul tavolo c’era anche la possibilità di arrivare a un incontro diretto tra Trump e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian.

Da Teheran era arrivata una risposta positiva, Erdoğan e il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan avevano trasmesso con successo la proposta a Pezeshkian e al ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. I tentativi sarebbero però falliti perché la Guida suprema Ali Khamenei, temendo di essere ucciso da un attentato israeliano, non era disposto a uscire dal suo nascondiglio. È rimasto irraggiungibile, non potendo così autorizzare Pezeshkian e Araghchi ad avviare i colloqui segreti a Istanbul.

Poco dopo aver ricevuto la notizia, il 17 giugno Trump ha postato sul suo Truth Social un messaggio pubblico rivolto a Khamenei. «L’Iran avrebbe dovuto firmare l’accordo che gli ho detto di firmare. Che vergogna e che spreco di vita umana. In parole povere, l’IRAN NON PUÒ AVERE UN’ARMA NUCLEARE. L’ho detto più e più volte! Tutti dovrebbero evacuare immediatamente Teheran!».

L’ultimo tentativo di mediazione l’ha fatto Erdoğan sabato 21 giugno incontrando Araghchi a Istanbul, esortandolo nuovamente a tenere colloqui diretti con l’amministrazione Trump. Ma ormai era troppo tardi. L’inquilino della Casa Bianca aveva preso la sua decisione, facendo una scelta che — a cinque mesi esatti dall’inizio del secondo mandato — definirà l’eredità storica della sua presidenza. Pur non dichiarando formalmente guerra, il presidente ha avvertito che «l’alternativa alla pace sarà una tragedia per l’Iran».

Di Federico Bosco

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