Discontinuità nella continuità. I giochi di parole, a volte, se troppo compiaciuti rischiano il barocco. Non è il caso della Germania, dove il cambio di governo – dopo 16 anni di guida di Angela Merkel – che vede insediarsi il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz e la sua coalizione ‘semaforo’ (Spd, Verdi e liberali) non ha nulla a che vedere con le convergenze parallele coniate, nell’Italia del secolo scorso, da Aldo Moro.
La Germania non ha il Papa, non ha avuto Machiavelli ed è semmai il Paese di Martin Lutero. La parola continuità a Berlino ha un peso specifico, politico e nazionale, seppur nelle rispettive differenze. Per questo il governo tripartito non smonterà le politiche della Merkel, né quelle interne né quelle in politica estera.
Il disfare è più arte da italiani e da latini che da teutonici. Di certo, questo sì, seppur nell’emergenza causa Covid il nuovo governo potrà rivedere alcune scelte di politica sociale ed economica. Con una priorità, però, che era cara pure ad Angela Merkel: non smarrire il primato tedesco sull’Unione europea.
E questa per Scholz (e la sua coalizione ‘semaforo’) sarà forse la sfida più difficile, incastonato com’è da una parte da un ritrovato protagonismo francese e dall’altra dal prestigio del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi (se non finirà impantanato dai giochi della politica romana tra Quirinale e Palazzo Chigi). Perché la continuità – anche quella dei rigorosi tedeschi – ha un senso se abbinata a una leadership europea. Senza, ne ha assai meno.
Di Jean Valjean
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