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Groviera Iran

In Iran gli ayatollah hanno un problema. Anzi, più d’uno. Basta mettere in fila alcuni episodi per evidenziare la fragilità dei servizi di sicurezza

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In Iran gli ayatollah hanno un problema. Anzi, più d’uno. Basta mettere in fila alcuni episodi per evidenziare la fragilità dei servizi di sicurezza

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In Iran gli ayatollah hanno un problema. Anzi, più d’uno. Basta mettere in fila alcuni episodi per evidenziare la fragilità dei servizi di sicurezza

A Teheran gli ayatollah con i turbanti hanno un problema. Anzi, più d’uno. Basta mettere in fila alcuni episodi – dall’attacco terroristico di Hamas contro Israele il 7 ottobre di un anno fa in avanti – per evidenziare la fragilità dei servizi di sicurezza iraniani se non addirittura una spaccatura all’interno delle gerarchie di potere, con falle e possibili soffiate verso Tel Aviv.

Per entrare nella fragilità dell’Iran partiamo dall’ultimo smacco subito: l’esplosione dei cercapersone (i pager) in dotazione ai militanti di Hezbollah in Libano e Siria che hanno provocato migliaia di feriti (fra cui l’ambasciatore iraniano a Beirut) e diversi morti. Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, per ragioni di sicurezza aveva dato ordine ai suoi di sostituire i cellulari con i cercapersone, dato che era rimasto sconvolto dall’eliminazione di Fuad Shukr, il suo comandante in capo, centrato da un missile in un appartamento che avrebbe dovuto esser segreto. I cercapersone sono arrivati a Hezbollah dall’Iran che li avrebbe ordinati e ricevuti da un intermediario commerciale in Ungheria (con il governo di Budapest che ieri si è affrettato a spiegare che l’azienda indicata come produttrice dei cercapersone esplosi in Libano e Siria non ha siti di produzione nel Paese magiaro).

A Teheran, se non sono sciocchi, in queste ore si staranno interrogando sul come sia potuto accadere che, anziché driin, i cercapersone abbian fatto boom. Dov’è stata la falla? Chi ha parlato? Che controlli sono mancati? L’esplosione dei pager è però soltanto l’ultimo episodio, in ordine di tempo, della debolezza iraniana rispetto alla sicurezza della sua rete che vuole combattere e annientare Israele. Andando infatti a ritroso nel tempo, oltre alla morte di Shukr (citata poc’anzi) ci sono altri smacchi subiti dal Paese degli ayatollah.

Prendiamo la vicenda di Ebrahim Raisi, il (fu) presidente della Repubblica Islamica. Il suo elicottero, nel maggio di quest’anno, ha subìto un incidente mentre sorvolava l’Azerbaigian orientale. Raisi è morto ed è stato incolpato il maltempo ma l’episodio, in realtà, è ancora avvolto da numerosi interrogativi che non hanno avuto una risposta chiara. E l’elenco delle ‘disgrazie’ iraniane non si ferma qui. Ismail Haniyeh, capo di Hamas all’estero, a fine luglio è rimasto ucciso in piena Teheran da un ordigno esplosivo piazzato nel suo appartamento, fra l’altro all’interno di un palazzo controllato dalle Guardie Rivoluzionarie iraniane. L’elenco potrebbe continuare, ma già questi episodi son più che sufficienti a delineare la debolezza iraniana. Una debolezza che trova ulteriore conferma nei roboanti annunci di vendette missilistiche contro Israele che poi, nella realtà della reazione iraniana, si sono rivelati un petardo (per fortuna, ovviamente) anziché dinamite.

Anche nello scarto fra l’annuncio d’una vendetta e la sua materializzazione si consuma perciò la crisi dei turbanti turbati. Crisi che, come premesso all’inizio di quest’analisi, ha due profili. Quello che riguarda la reazione è politico e indica una probabile divisione dei vertici di potere di Teheran sulle scelte da compiere contro Israele. Questo spiegherebbe, eccome, la debolezza – rispetto agli annunci roboanti – delle azioni iraniane. Il secondo tema riguarda invece il controllo della sicurezza e dei servizi. È ancora in grado il regime di Teheran di esercitare una sorveglianza non sul popolo sottomesso (quello, in una dittatura, è relativamente facile) ma sui gangli degli apparati dello Stato che hanno il compito di evitare infiltrazioni, di prevenire e di bloccare fughe di notizie, salvaguardando la sicurezza dei turbanti e dei suoi amichetti, da Hezbollah ad Hamas (due organizzazioni terroristiche)? I fatti dell’ultimo anno indicherebbero di no: la sorveglianza a Teheran pare far acqua da tutte le parti. Un punto questo, comunque la si pensi rispetto alla sua azione politica e alle sue scelte, a vantaggio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

di Massimiliano Lenzi

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