Iran-Israele, bollettino del sesto giorno di guerra
Nella notte appena passata più di quaranta caccia d’Israele hanno attaccato decine di obiettivi militari in Iran, usando oltre cento ordigni di varia classe
Iran-Israele, bollettino del sesto giorno di guerra
Nella notte appena passata più di quaranta caccia d’Israele hanno attaccato decine di obiettivi militari in Iran, usando oltre cento ordigni di varia classe
Iran-Israele, bollettino del sesto giorno di guerra
Nella notte appena passata più di quaranta caccia d’Israele hanno attaccato decine di obiettivi militari in Iran, usando oltre cento ordigni di varia classe
Nella notte appena passata più di quaranta caccia israeliani hanno attaccato decine di obiettivi militari in Iran, usando oltre cento ordigni di varia classe. Oltre che i lanciatori e altre infrastrutture belliche, sono stati colpiti i siti nucleari di Arak e Natanz. Di contro, la risposta missilistica degli ayatollah si sta dimostrando ogni giorno più flebile, anche se l’ultima scarica di balistici ha colpito persino l’ospedale Soroka di Be’er Sheva (la più grande città israeliana nel Negev). Anche stavolta, l’apparato militare d’Israele non sembra essere stato danneggiato, mentre i droni dell’Iran continuano a distruggere i camion iraniani con le piattaforme di lancio.
La domanda che serpeggia tra la popolazione iraniana al momento è sicuramente: «Perchè?». Perché gli abitanti dell’Iran hanno dovuto sopportare quarantacinque anni di arretratezza e povertà, dichiarandosi nemici degli infedeli del mondo intero? Come mai per quarantacinque anni i soldi delle loro tasse sono andati a sostenere un network terroristico regionale che, oltre a non generare ricchezza per gli iraniani né per i vicini, si è sciolto come neve al sole sotto la pressione militare israeliana?
Perché gli ayatollah che hanno scelto di sfidare il mondo sulla punta della spada, adesso si stanno mostrando degli spadaccini goffi e incapaci? Insomma, a che pro gli iraniani hanno sopportato povertà e oscurantismo se manco ha generato un regime capace di difendersi da un nemico nove volte più piccolo come Israele. Davide e Golia è davvero un archetipo che si ripropone continuamente nella storia ebraica, ma è anche utile fare una comparazione tra Teheran e Varsavia.
La Polonia è infatti uno dei Paesi che ha più beneficiato della caduta del comunismo europeo di stampo russofilo, dopo aver tanto lottato per liberarsene. Nel 2025, il Pil pro capite dei polacchi e cinque volte quello degli iraniani. Anche adeguato al potere d’acquisto locale, un varsaviano è due volte e mezzo più ricco di un persiano. Il regime degli ayatollah ha sempre sostenuto che tali asprezze economiche erano giustificata dal bisogno di difendersi dai nemici interni, ma la Polonia capitalista ha avviato uno dei più grandi piani di riarmo del continente per difendersi dalla Russia mentre l’Iran non riesce neanche a difendere i cieli della sua capitale. Il fallimento è epocale e a tutti i livelli, ma non sembra ancora bastare per un regime change.
Purtroppo infatti l’Iran è un Paese vittima della sua stessa grandezza, dove le varie minoranza competono e non collaborano per creare un’alternativa allo status quo. Gli azeri a Nord, i Curdi a Ovest, i Beluci a Sud-Est, le minoranze religiose sunnite e zoroastriane e la società civile nelle grandi città non esprimono un fronte unico. Ancora più ridicoli i riferimenti a un ritorno dello Shah, il cui sanguinario regime aprì la strada ai turbanti di Ruhollah Khomeyni. I quadri decimati dei pasdaran e dell’Artesh (le Forze armate iraniani parallele ai Guardiani della rivoluzione) sono invece ancora l’unica struttura veramente funzionante in Iran, che si rivela come una militarocrazia sul modello pakistano o egiziano (per non dire venezuelano). La poca ricchezza dell’Iran passa infatti quasi tutta attraverso i pasdaran, che hanno le chiavi dell’economia nazionale.
Sembra che dovranno essere quindi le azioni cinetiche israeliane a rendere non più operativa quantomeno la parte più senescente del regime, nonché le strutture economiche su cui si basa(ergo, produzione di idrocarburi e gas). Uno scenario che si rende sempre più concreto anche con la coagulazione delle forze statunitensi nell’area del CENTCOM, il comando centrale militare che sovrintende alle operazioni in Medio Oriente.
La flotta statunitense in Bahrain ha levato gli ormeggi per schierarsi nell’area dello stretto di Hormuz e, dopo la “USS Nimitz”, anche la “USS Gerald R. Ford” (ancora più recente della classe Nimitz) sta per posizionarsi nel Mar Mediterraneo orientale per rinforzare le difese d’Israele. Uno schieramento formidabile, che attende soltanto il gesto capriccioso del presidente Donald Trump per infliggere il colpo di grazia a un Paese che si è negato per decenni la sua prosperità soltanto per raccogliere dolore e devastazione.
di Camillo Bosco
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