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Irpin e Kyiv, memoria e ricostruzione

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Il massacro di Bucha, gli incubi di Irpin e Hostomel, sono solo alcune delle cittadine ucraine, nei pressi di Kyiv, le cui immagini di quel 24 febbraio 2022 sono rimaste impresse nella memoria di tutto il mondo. Da un lato la distruzione, dell’altro la ricostruzione

Irpin e Kyiv

Irpin e Kyiv, memoria e ricostruzione

Il massacro di Bucha, gli incubi di Irpin e Hostomel, sono solo alcune delle cittadine ucraine, nei pressi di Kyiv, le cui immagini di quel 24 febbraio 2022 sono rimaste impresse nella memoria di tutto il mondo. Da un lato la distruzione, dell’altro la ricostruzione

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Irpin e Kyiv, memoria e ricostruzione

Il massacro di Bucha, gli incubi di Irpin e Hostomel, sono solo alcune delle cittadine ucraine, nei pressi di Kyiv, le cui immagini di quel 24 febbraio 2022 sono rimaste impresse nella memoria di tutto il mondo. Da un lato la distruzione, dell’altro la ricostruzione

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Il massacro di Bucha, gli incubi di Irpin e Hostomel, sono solo alcune delle cittadine ucraine, nei pressi di Kyiv, le cui immagini di quel 24 febbraio 2022 sono rimaste impresse nella memoria di tutto il mondo. Giorno che ha dato inizio all’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Di questi luoghi, Irpin è esempio di forza e resistenza. Ed è proprio qui, ad appena cinque chilometri dalla capitale, che un’imboscata della resistenza partigiana ha stroncato l’avanzata delle forze russe. Grazie a un brigata improvvisata dell’esercito ucraino, costituita in tutta fretta da volontari. L’assalto russo portò al massacro di circa 300 persone, ma grazie alla risposta dei locali il bilancio non si è ulteriormente aggravato.

Di quei giorni oggi rimane una città dalla doppia anima. Da un lato un museo a cielo aperto, che conserva gelosamente i segni dell’orrore. Dall’altro una comunità divenuta modello per la ricostruzione dell’intera Ucraina. Un esempio su tutti: il ponte Romaniv. Uno dei quattro che da Irpin portavano a Kyiv e abbattuti dagli stessi ucraini per impedire ai russi di avanzare.

Oggi, accanto a quelle macerie divenute celebri nel mondo grazie ai filmati dei profughi, costretti a camminare su passerelle improvvisate in legno sotto i resti del cavalcavia, sorge un nuovo ponte. La sua ricostruzione è avvenuta grazie a donazioni dal governo turco a pochi metri di distanza. Ma il vecchio passaggio è rimasto lì, distrutto, a testimonianza di quei giorni terribili.

Ma non è solo il ponte ad essere rinato. L’intera Irpin ha saputo risorgere dalle sue ceneri in tempi record. In appena due anni, in piena guerra, il 76% degli edifici colpiti sono già stati ricostruiti. A finanziare l’opera di ripristino è stata in primis la Commissione europea che ha stanziato 100 milioni di euro. Seguita dalla Fondazione Terre des Hommes (25 milioni di dollari per dare una nuova casa a 1192 persone). E dal comune locale (7,7 milioni di euro). Un bel segnale di cooperazione europea, di capacità di risposta alle crisi e un segno di grande fiducia nel futuro.

La volontà del popolo ucraino di vivere la guerra non solo come presente ma anche come possibile passato emerge da tutti quei piccoli memoriali disseminati nel Paese. Anche a Kyiv. Qui a fare da monito è il contrasto tra lo splendore delle cupole dorate del monastero di San Michele e le otto carcasse di veicoli militari russi esposti nella piazza antistante.

Ma se nella capitale a segnalare che è in corso una guerra sono soprattutto i resti sparsi delle battaglie, uscendo da Kyiv la realtà diventa decisamente più cupa.

Il che è un paradosso: se nella sede del governo e del potere costituito ucraino le luci dominano la notte, nei capoluoghi delle altre regioni questa è un buco nero. Come Cernivci, a 40 chilometri dal confine romeno. Le sue vie, tramontato il sole, richiamano alla memoria i racconti dei nonni che hanno vissuto la seconda guerra mondiale. L’oscuramento, la quasi totale assenza delle luci artificiali all’aperto, mostra da solo quanto sia forte la paura che anche solo una lampadina accesa nel posto sbagliato possa trasformarsi in un bersaglio per i russi.

di Claudia Burgio e Umberto Cascone

Ringraziamo per le foto Gianmaria Radice

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