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La Francia impigliata in Mélenchon

Passata l’ebbrezza del risultato elettorale dello scorso luglio, la sinistra francese torna al punto di partenza. Un solo demiurgo: Mélenchon

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Passata l’ebbrezza del risultato elettorale dello scorso luglio, la sinistra francese torna al punto di partenza. Un solo demiurgo: Mélenchon

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Passata l’ebbrezza del risultato elettorale dello scorso luglio, la sinistra francese torna al punto di partenza. Un solo demiurgo: Mélenchon

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Passata l’ebbrezza del risultato elettorale dello scorso luglio, la sinistra francese torna al punto di partenza. Un solo demiurgo: Mélenchon

Passata l’ebbrezza del risultato elettorale dello scorso luglio, la sinistra francese torna al punto di partenza. Crisi, litigi interni e vecchie fratture, mai realmente sanate, sono all’ordine del giorno e anche questa volta il demiurgo della sconfitta è uno solo: Jean-Luc Mélenchon. Il capo indiscusso de La France Insoumise è impegnato in uno scontro a tutto campo con il presidente Emmanuel Macron, reo di non voler affidare il governo a una maggioranza guidata dal Nouveau Front populaire per via di un programma che ancora oggi resta troppo legato alla piazza e alle sue frange più estremiste (l’elefante nella stanza è rappresentato proprio da Lfi con i suoi esponenti filo Hamas e un programma fiscale vetero-comunista), incapace di compiere quell’istituzionalizzazione necessaria per la guida dell’esecutivo.

Non si può dire che la coalizione sia composta esclusivamente da barricaderi: non sono infatti pochi gli esponenti che vorrebbero dialogare, anche duramente, con gli altri componenti di quel Fronte repubblicano che molte testate hanno scambiato per un cartello politico a tutti gli effetti. Ma Jean-Luc Mélenchon la pensa diversamente e se in nome del suo purismo ideologico deve finire ai margini dell’Assemblea nazionale, lo stesso destino toccherà ai suoi compagni di viaggio. Il leader della sinistra radicale aveva offerto un compromesso alla presidenza solo pochi giorni fa: governo al Nouveau Front populaire senza ministri degli ‘indomiti’. La soluzione, però, non poteva garantire la stabilità costituzionale a causa della mancanza dei numeri necessari per la maggioranza e delle rivendicazioni esasperate del programma elettorale; fattori che hanno convinto Mélenchon – che, ricordiamo, non è il capo dell’intero blocco – a far saltare il banco, chiedendo l’impeachment per Emmanuel Macron.

«La gravità del momento esige una risposta decisa della società francese contro l’incredibile abuso di potere autocratico di cui è vittima» ha tuonato il numero due de La France Insoumise Manuel Bompard, concludendo con un richiamo a «tutte le organizzazioni che tengono alla democrazia a unirsi per far fronte e costringere il presidente a riconoscere il risultato delle elezioni». Nei comunicati della sinistra Macron diventa un golpista, un reazionario e – ovviamente – un fascista.

Ma in molti nel campo progressista si sono resi conto che Mélenchon sta replicando quanto ha già fatto con la vecchia sigla, la Nupes (Nouvelle Union populaire écologique et sociale), che solo un anno fa sembrava pronta a egemonizzare la politica francese finché non è morta proprio per l’ego dell’allora candidato presidente. Per questo, proprio come allora, i malumori interni iniziano a farsi pubblici e nasce un’opposizione interna come nel caso del socialista Sébastien Vincini, il quale ha dichiarato che «è arrivato il momento che Jean-Luc Mélenchon passi il testimone». La richiesta di fare un passo indietro è un tentativo di salvare la possibilità di un governo di sinistra, ma il no di Macron appare categorico.

Il presidente francese ha avviato un nuovo giro di consultazioni, questa volta senza il Nouveau Front populaire e la destra radicale (Le Pen e i fedeli di Éric Ciotti), mentre la possibilità di un governo di coalizione con i repubblicani diventa sempre più realistica. Se dovesse andare a finire così, la sinistra, invece di gridare al presunto fascismo di Macron, dovrebbe prendersela con il suo personalissimo duce.

di Antonio Pellegrino

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