La Russia sempre più isolata
| Esteri
Il viaggio in Cina di Putin per partecipare al Forum internazionale “One Belt, One Road”, si è concluso senza particolari successi. La Russia è sempre più isolata

La Russia sempre più isolata
Il viaggio in Cina di Putin per partecipare al Forum internazionale “One Belt, One Road”, si è concluso senza particolari successi. La Russia è sempre più isolata
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La Russia sempre più isolata
Il viaggio in Cina di Putin per partecipare al Forum internazionale “One Belt, One Road”, si è concluso senza particolari successi. La Russia è sempre più isolata
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Il viaggio in Cina di Putin per partecipare al Forum internazionale “One Belt, One Road”, a lungo preparato con una serie di interviste ai mass media cinesi e largamente pubblicizzato dalla tv russa, si è concluso senza particolari successi. Putin ha utilizzato la passerella di Pechino per cercare di dimostrare ancora una volta il suo innato pacifismo in Europa Orientale, condito però con la minaccia di pattugliare costantemente con la propria aviazione le acque neutrali del Mar Nero. E fin qui niente di nuovo.
La vera novità – amara per il Cremlino – è che, dopo tre ore di colloqui fra le delegazioni russo-cinesi, Xi Jinping non ha apposto la firma sul progetto del gasdotto “Forza della Siberia 2” che dovrebbe moltiplicare l’afflusso di gas siberiano nel gigante asiatico. Se ne parla ormai da sette anni ed è chiaro che senza di esso Putin non potrà mai colmare la riduzione del volume delle esportazioni di energia in Europa. La ritrosia di Xi è comprensibile: il leader cinese non vuole rimanere agganciato all’amo dei prezzi bassi e diventare dipendente dal suo partner. Pertanto, come scritto in un recente editoriale del quotidiano moscovita “Kommersant”, la Russia sta disperatamente valutando ogni sorta di opzione alternativa, persino delle partnership nella lontana America Latina.
Senza lo sbocco dell’enorme mercato europeo, lo stesso progetto della “Nuova Via della Seta” rischia di fare acqua da tutte le parti. Al Forum di Pechino il solo leader europeo a presentarsi è stato l’ungherese Viktor Orbán, l’unico ad aver continuato a far affari con Mosca negli ultimi quasi due anni di guerra in Ucraina. L’Italia deve decidere entro dicembre se continuare a far parte del progetto, ma dalle voci che giungono da Roma sembra che l’addio – o quantomeno l’arrivederci – sia inevitabile.
Del resto, a Mosca si avverte sempre di più l’allontanamento del regime di Putin dall’Europa. È di questi giorni la notizia che le scuole russe, già a partire da quest’anno, non svolgeranno più esami in lingue straniere (in Russia quelle studiate ufficialmente sono l’inglese, il francese e il tedesco). Un passo ulteriore verso una nuova versione di “slavofilia”, priva però della profondità e della dignità culturale di quella del XIX secolo. Non è un caso. Qualche settimana fa il presidente della Duma di Stato Vjacheslav Volodin ha dichiarato che l’inglese è una «lingua morta», invitando i ragazzi a imparare meglio la lingua nazionale. Un processo di “indigenizzazione” che divide i russi.
Su VKontakte (la versione russa di Facebook) genitori e insegnanti si dividono di fronte a quest’ultima trovata del Ministero dell’Istruzione. «Bisogna guardare al futuro, ai nostri figli facciamo studiare il cinese» afferma convinta Svetlana di Omsk. Ma sono tanti anche quelli che storcono il naso. Come Anton di Samara, che constata melanconicamente: «I bambini russi ormai non avranno bisogno delle lingue, perché nel destino che gli stanno imponendo non ci sarà il viaggiare per il mondo. Sono scioccato dal vedere un tale degrado del mio Paese, ma tutto questo è iniziato già tempo fa. Peccato».
di Yurii Colombo
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