Il premier Viktor Orbán usa lo strumento dei referendum per smarcarsi dall’Unione europea sul tema Lgbt+.
Ufficialmente la norma su cui vuole chiedere l’opinione degli ungheresi riguarda la pedofilia, è stata approvata a inizio luglio e rende illegale promuovere o mostrare sui media e a scuola contenuti che possano rappresentare «deviazioni dall’identità corrispondente al proprio sesso assegnato alla nascita».
In sostanza, la legge prende a bersaglio la comunità Lgbt+ pur utilizzando la facciata della lotta alla pedofilia. La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen l’ha definita «una vergogna» e ha avviato una procedura di infrazione contro l’Ungheria ma il tema è anche l’ennesimo tentativo di Orbán di utilizzare lo strumento principe della democrazia per cercare di svincolarsi dalle normative dell’Unione europea.
Nel 2016 non gli andò benissimo con il referendum in tema di migranti, che mancò il quorum ma venne spacciato come una vittoria visto che il no all’imposizione da parte dell’Ue di «quote di ripartizione di migranti» fra i vari Paesi raccolse oltre il 90% dei consensi.
Questa volta i cinque quesiti da votare pongono volutamente l’accento sui minori, ad esempio: «Sostieni la promozione di trattamenti per il cambiamento di genere tra i minori?». Un paravento, secondo opposizione e Unione europea, per sancire in realtà la discriminazione della comunità Lgbt+.
Ma soprattutto l’ennesimo tentativo di Orbán di dimostrare di essere più forte dell’Europa, senza uscire dall’Europa.
di Annalisa Grandi
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