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La Somalia preda del caos istituzionale

In Somalia non si riesce ad andare alle urne per colpa dei suoi leader politici che tutto hanno cuore fuorché le sorti del Paese. La situazione piace ai jihadisti mentre preoccupa Turchia e Emirati Arabi Uniti che operano nei porti somali.
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La Somalia preda del caos istituzionale

In Somalia non si riesce ad andare alle urne per colpa dei suoi leader politici che tutto hanno cuore fuorché le sorti del Paese. La situazione piace ai jihadisti mentre preoccupa Turchia e Emirati Arabi Uniti che operano nei porti somali.
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La Somalia preda del caos istituzionale

In Somalia non si riesce ad andare alle urne per colpa dei suoi leader politici che tutto hanno cuore fuorché le sorti del Paese. La situazione piace ai jihadisti mentre preoccupa Turchia e Emirati Arabi Uniti che operano nei porti somali.
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In Somalia non si riesce ad andare alle urne per colpa dei suoi leader politici che tutto hanno cuore fuorché le sorti del Paese. La situazione piace ai jihadisti mentre preoccupa Turchia e Emirati Arabi Uniti che operano nei porti somali.
Come accade per la Libia, anche per la Somalia l’inizio del nuovo anno fa apparire una chimera l’idea che l’atteso processo elettorale possa favorirne la stabilizzazione. Alla base della nuova crisi del Paese non vi sono però i conflitti interetnici che tormentano ad esempio la vicina Etiopia o il Sahel. All’origine del caos istituzionale c’è uno scontro personalistico tra il presidente della Repubblica Federale di Somalia Mohamed Abdullahi Mohamed, detto in somalo Farmajo (sì, proprio “formaggio” in italiano), e il primo ministro Mohamed Hussein Roble. Beninteso, lo scontro si riflette sul piano istituzionale e in tutto il Paese, perché entrambi hanno i loro seguiti che si contrappongono, a cominciare dalle diverse fazioni di esercito e polizia. Presidente dal 2017, Farmajo avrebbe cessato il mandato l’8 febbraio, ma non avendo raggiunto un accordo con i leader regionali sull’organizzazione delle elezioni, ha annunciato a metà aprile la proroga del suo mandato per due anni, provocando scontri armati a Mogadiscio. Da qui l’incarico al primo ministro Roble di organizzare le elezioni, un processo lungo ed elaborato: circa 30mila delegati dei clan tribali devono eleggere 275 deputati della Camera Bassa, mentre i cinque Stati federali somali eleggono i 54 membri della Camera Alta; successivamente, le due Camere eleggono congiuntamente il nuovo presidente. L’obiettivo è ancora lontano, se si considera che sarebbero solo 50 i membri sinora eletti alla Camera Bassa. Approfittando dei ritardi del processo elettorale, sono presto iniziate le trame contrapposte tra Farmajo e Roble. Nel settembre scorso, il premier aveva licenziato il capo dell’Agenzia per i servizi di intelligence e sicurezza (Nisa) Fahad Yasin, un fedelissimo di Farmajo, per la gestione delle indagini sulla misteriosa scomparsa di uno dei suoi agenti, Ikran Tahlil. Ma il capo dello Stato aveva annullato la decisione, definendola «illegale e incostituzionale» e nominando Fahad Yasin suo consigliere per la sicurezza nazionale. Già in quella circostanza aveva annunciato la sospensione delle prerogative del capo del governo, poi revocata. Lo scontro di questi giorni è nato dopo un’intervista del capo della polizia di Mogadiscio che ha riferito un caso di corruzione riguardante terreni demaniali della guardia costiera, dove il premier Roble avrebbe cercato di realizzare investimenti immobiliari. Il presidente Mohamed Abdullahi ha colto quindi l’occasione per sospendere il primo ministro, che ha subito replicato accusandolo di compiere un atto incostituzionale per far fallire l’iter elettorale. Le ultime notizie riferiscono che il primo ministro ad interim, il vice premier Khadar Gulaid, ha dichiarato nullo il decreto presidenziale, riconoscendo il potere costituzionale di Roble di rimanere in carica e guidare il processo elettorale. Il quotidiano “Somali Guardian” riferisce che forze governative e soprattutto quelle della missione dell’Unione Africana in Somalia (Amisom) – che il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha prorogato di tre mesi – hanno ripreso il controllo del palazzo del governo. Amisom, Stati Uniti, Unione europea e Nazioni Unite hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui, nell’esprimere «profonda preoccupazione» per la crisi, hanno chiesto «ai leader della Somalia di mettere al primo posto gli interessi del Paese, allentare le crescenti tensioni politiche e astenersi da provocazioni o dall’uso della forza, entrambi fattori che potrebbero minare la pace e la stabilità». Sarà il caso che i due leader si impegnino realmente per le elezioni. Anche perché è ancora incombente la minaccia jihadista di Al Shabaab, che ha tutto l’interesse a una spaccatura del Paese per riproporre il triste periodo delle Corti islamiche. Uno scenario che preoccupa anche Turchia ed Emirati Arabi Uniti, che hanno rilevanti interessi nei porti somali.   di Maurizio Delli Santi

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