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strategia di kissinger

La strategia di Kissinger contrasta l’autodeterminazione degli ucraini

Kissinger, ex segretario di Stato degli Usa, sostiene la necessità di un accordo con Putin coerentemente con la propria politica della ‘distensione’. Posizione comprensibile che si scontra, però, con il sacrosanto diritto di autodeterminazione dei popoli.
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La strategia di Kissinger contrasta l’autodeterminazione degli ucraini

Kissinger, ex segretario di Stato degli Usa, sostiene la necessità di un accordo con Putin coerentemente con la propria politica della ‘distensione’. Posizione comprensibile che si scontra, però, con il sacrosanto diritto di autodeterminazione dei popoli.
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La strategia di Kissinger contrasta l’autodeterminazione degli ucraini

Kissinger, ex segretario di Stato degli Usa, sostiene la necessità di un accordo con Putin coerentemente con la propria politica della ‘distensione’. Posizione comprensibile che si scontra, però, con il sacrosanto diritto di autodeterminazione dei popoli.
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Kissinger, ex segretario di Stato degli Usa, sostiene la necessità di un accordo con Putin coerentemente con la propria politica della ‘distensione’. Posizione comprensibile che si scontra, però, con il sacrosanto diritto di autodeterminazione dei popoli.
A 98 anni suonati, Henry Kissinger conserva senza dubbio una invidiabile “mente brillante”. Non ha incarichi di governo da 45 anni, ma resta una delle voci più ascoltate a Washington su questioni delicate di politica estera. Ebreo tedesco fuggito dal Reich nel 1938 e arruolatosi cinque anni dopo nell’esercito americano per combattere Hitler, dopo la guerra si formò e insegnò ad Harvard per un ventennio, pubblicando alcuni testi fondamentali per la diplomazia e la strategia nucleare americana. Repubblicano, sostenne la candidatura presidenziale del patrizio liberal Nelson Rockefeller contro Nixon, che definì «l’uomo più pericoloso che si è mai candidato alla presidenza americana» ma di cui in seguito accetterà di diventare consigliere per la Sicurezza nazionale. Fu il principale artefice della “distensione” con l’Urss e dell’apertura alla Cina di Mao, che nel 1972 – essenzialmente per merito suo – ruppe con i sovietici aprendo all’Occidente. Oggi Kissinger, in nome della realpolitik, sostiene la necessità di un accordo con Putin “idealmente” basato su un ritiro russo dall’Ucraina ma in pratica inevitabilmente destinato a includere concessioni territoriali. A suo parere un’ulteriore escalation del conflitto presenterebbe rischi eccessivi per l’Europa e cementerebbe definitivamente l’influenza cinese sulla Russia. Kissinger, insomma, difende oggi il legato storico della sua diplomazia: la “distensione” che portò agli accordi di Helsinki e poi alla caduta del comunismo sovietico, e l’apertura della Cina al capitalismo. È una posizione razionale e umanamente comprensibile ma che si scontra, almeno in parte, con la sostanza del conflitto in corso, che in ultima analisi consiste nella difesa del principio dell’autodeterminazione dei popoli. Una pace con modeste concessioni territoriali è molto probabilmente preferibile a una guerra prolungata con rischio di escalation nucleare, ma l’idea di imporre tali ‘concessioni’ all’Ucraina fa a pugni non solo con gli ideali dell’Occidente ma anche con l’esperienza storica. Louis Kissinger, padre di Henry e semplice maestro di scuola, probabilmente lo capì chiaramente, quando, alla vigilia della Conferenza di Monaco – basata appunto su concessioni territoriali a Hitler di fatto imposte dall’Occidente alla Cecoslovacchia – decise di imbarcare la famiglia su una nave diretta in America. Le decisioni sul futuro politico e territoriale dell’Ucraina devono rimanere nelle mani degli ucraini. Zelensky sa bene che l’Occidente non ha intenzione di farsi trascinare in una guerra globale contro la Russia di Putin ma deve poter contare sul sostegno occidentale nella difesa di quella libertà che ne costituisce la vera anima e ragion d’essere. Di Ottavio Lavaggi

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