La tregua è una finestra sulla speranza: parla l’attivista Na’ama Barak Wolfman
Na’ama Barak Wolfman, attivista del movimento pacifista israeliano Wwp, spera che la tregua porti a una pace duratura. Ma il cammino è ancora lungo
La tregua è una finestra sulla speranza: parla l’attivista Na’ama Barak Wolfman
Na’ama Barak Wolfman, attivista del movimento pacifista israeliano Wwp, spera che la tregua porti a una pace duratura. Ma il cammino è ancora lungo
La tregua è una finestra sulla speranza: parla l’attivista Na’ama Barak Wolfman
Na’ama Barak Wolfman, attivista del movimento pacifista israeliano Wwp, spera che la tregua porti a una pace duratura. Ma il cammino è ancora lungo
Na’ama Barak Wolfman, attivista del movimento pacifista israeliano Wwp, spera che la tregua porti a una pace duratura. Ma il cammino è ancora lungo
Il D-Day è previsto per oggi, il giorno prima dell’insediamento ufficiale di Donald Trump alla Casa Bianca. Il presidente eletto ha definito la tregua per Gaza una conseguenza della sua vittoria elettorale dello scorso novembre. Intanto però in Israele la svolta nei negoziati raccoglie grande favore. Specie da chi non ha mai smesso di credere in una pacificazione, come Na’ama Barak Wolfman. Madre di tre figli, vive a Gerusalemme. È un’attivista di Women Wage Peace (Wwp), un movimento pacifista israeliano nato dopo la guerra di Gaza del 2014. «Abbiamo sperato e pregato per un cessate il fuoco, accettato da entrambe le parti» dice. «È un primo passo, poi penseremo alle fasi successive, che significano anche il ritorno a casa per migliaia di persone, sia israeliani che palestinesi».
È stato complesso far sedere a uno stesso tavolo negoziale i rappresentanti di Hamas e quelli israeliani, così come raggiungere una prima intesa. Ma il lavoro di mediazione non termina con gli incontri tra Egitto, Qatar e Stati Uniti. E restano anche tensioni interne in Israele: «L’ala più radicale si è sempre opposta a un accordo. Penso e spero però che Netanyahu sia in grado di andare avanti anche senza l’appoggio del partito religioso. Altrimenti la domanda è come possa sopravvivere Gaza e come possano andare avanti le famiglie degli ostaggi» osserva l’attivista. Non sono infatti mai cessate le manifestazioni per chiedere la liberazione degli ostaggi israeliani. «Noi siamo ancora al loro fianco, siamo con le madri di quei bambini (e non solo) uccisi. E di quelli dei quali non si sa nulla. Ciò che hanno vissuto e stanno ancora vivendo è orribile: devono tornare a casa».
L’intesa prevede una prima fase di cessate il fuoco di sei settimane, con la liberazione di 33 ostaggi e mille prigionieri palestinesi. Poi seguirebbe il ritiro graduale di Israele, non però dal corridoio “Filadelfia”, ritenuto da Tel Aviv strategico per la sicurezza.
L’obiettivo di lungo periodo rimane tuttavia la costituzione di due Stati per due popoli. «Come associazione abbiamo sempre ritenuto necessario trovare un accordo per la convivenza, anche se è difficile indicare quale sia la soluzione migliore. La tregua è un inizio, una finestra da lasciare aperta sulla possibilità di porre fine a questa situazione. E su cui si è impegnato anche il neo presidente americano. Sarà importante il coinvolgimento di altri Paesi, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, in supporto al futuro governo di Gaza. Che non potrà però essere guidato da Hamas, sia per la sicurezza di Israele che per quella dei palestinesi. La negoziazione deve proseguire».
Di Eleonora Lorusso
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