In Libia crescono tensioni e scontri interni in vista delle elezioni del 24 dicembre. Italia e Francia si giocano molto: perdere la scommessa in Libia significherebbe mostrare una grande debolezza politica.
Coordinare mezzi e fini, questo è fare politica. Parliamo di Libia, dove a una settimana dalla data annunciata per le elezioni, il 24 dicembre, van crescendo le tensioni e gli scontri interni, al punto che il leader miliziano della Brigata Al-Samoud avrebbe già annunciato che «non ci saranno elezioni presidenziali» e che «chiuderanno tutte le istituzioni statali».
Sulla scommessa politica del voto, in queste ore, Francia e Italia si giocano molto. Grazie al superamento delle divergenze di interessi tra Parigi e Roma in Libia, si è infatti innescato e pianificato il processo che dovrebbe portare al voto. Il mezzo usato da Francia e Italia è stato una buona scelta: mettersi d’accordo e muoversi assieme. Il fine però – portare i libici alle elezioni – si sta pericolosamente allontanando. Un fatto che porta con sé il rischio d’un boomerang politico perché se il voto salterà sarà naturale chiedersi quanto contino davvero Francia e Italia in politica estera, anche come avamposto dell’Unione europea.
I mezzi per riuscire erano stati calibrati (quasi) tutti: una cooperazione rafforzata, un’intesa forte tra Parigi e Roma cui ha fatto suggello – in termini assai più ampi – il Trattato del Quirinale, il coinvolgimento dell’Ue nel piano per il ritorno verso una normalità in Libia, l’annuncio pubblico dell’impegno per le elezioni. Insomma, una strategia.
Fallire significherebbe due cose: o che la strategia era sbagliata oppure che Francia e Italia non pesano come dovrebbero sull’altra sponda del Mediterraneo dove due (ex) imperi, quelli russo e turco, stanno giocando da tempo una partita geopolitica, ognuno a modo suo. Per questo, per non rimediare un fallimento, è necessario che Parigi e Roma prendano atto di una cosa: se il caos crescente in Libia non rientrerà, non si potrà certo far finta di nulla ma occorrerà muovere un ulteriore passo in avanti, mantenendo l’iniziativa politica: prima pacificare e poi far votare, pensando anche a una presenza armata sul territorio.
Scelta difficile? Sì, scelta difficile ma se due importanti nazioni europee si fanno carico di portare le elezioni in un Paese martoriato dalla guerra civile, nel momento in cui i mezzi previsti non bastano allo scopo vanno rivisti. Perché la Libia non riguarda soltanto i libici (ovviamente i primi a essere interessati) ma pure la credibilità della politica estera nel Mediterraneo. È questa un’epoca confusa, dove troppe tensioni son tornate ai confini dell’Europa: oltre alla situazione libica vi sono la pressione dei russi sul confine ucraino e il dramma dei migranti che la Bielorussia spinge sul confine polacco. Perdere la scommessa in Libia significherebbe mostrare una debolezza politica, anche europea, rispetto al presente. Ma soprattutto al futuro.
di Massimiliano Lenzi
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