Chișinău – Come ampiamente raccontato, martedì Vladimir Putin ha parlato poco meno di due ore all’Assemblea federale di Mosca tirando in ballo «l’esistenza stessa della Russia». Lo stesso giorno il leader del Cremlino ha annullato un decreto del 7 maggio 2012 che faceva riferimento alla «politica estera della Federazione Russa». Una mossa – si legge nel documento – per «garantire gli interessi nazionali in relazioni ai profondi cambiamenti nelle relazioni internazionali». Oltre alla sospensione alla partecipazione al New Start, che limita la produzione e lo stoccaggio di testate nucleari, Putin ha abrogato anche altre disposizioni passate inevitabilmente sottotraccia. Tra queste una sul rapporto tra Repubblica di Moldavia e Transnistria.
Il decreto del 2012, infatti, prevedeva che Mosca avrebbe continuato a partecipare attivamente «alla ricerca di soluzioni per risolvere il problema della Transnistria sulla base del rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dello status di neutralità della Moldova, concedendo alla autoproclamata repubblica filorussa (che nessuno riconosce, ndr.) uno status speciale». Insomma una disposizione che garantiva l’integrità territoriale della Moldavia nell’ambito della risoluzione di questo conflitto congelato.
A un anno dall’invasione, perché la Russia avrebbe deciso di non rispettare più queste condizioni? Secondo la stampa moldava la scelta è ancora poco chiara. A Cobasna, in Transnistria, si trovano due battaglioni di truppe russe e il più grande deposito di munizioni dell’Europa orientale di epoca sovietica e solo una settimana fa la presidente moldava Maia Sandu ha accusato il Cremlino di pianificare un colpo di Stato nel Paese. Sull’argomento è tornato anche Zelensky proprio il 21 febbraio, dicendo che Mosca vorrebbe utilizzare l’aeroporto di Chișinău per operazioni in Ucraina. Secondo i media russi, Kiev avrebbe invece iniziato a schierare le truppe al confine con la Transnistria.
Nella capitale moldava per ora sembra tutto tranquillo. Nessuno crede all’ipotesi golpe, ma non si esclude che Putin possa aprire un altro fronte di guerra. Ipotesi ancora lontana per i cittadini alle prese con le preoccupazioni quotidiane. «Ho uno stipendio di circa 500 euro. 200 sono per l’affitto, altrettanti per le bollette che sono sempre più care» racconta Crina, insegnante che critica l’invasione. «Ma Russia o Unione europea per me è lo stesso, l’importante è riuscire a campare». Un pensiero condiviso da tanti che nel cassetto hanno, per origini e storia, più di un passaporto.
Di Mario Bonito
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