L’inserimento dell’Italia nella lista russa dei ‘cattivi’ non è certo una sorpresa. A dirla tutta, dovremmo considerarlo una medaglia da appuntarci al petto. Potrà fare impressione ai nostri quintocolonnisti, che non vedono l’ora di tirar fuori il Vietnam o Falluja per spericolate e ardimentose teorie pro-Putin. Ce ne faremo una ragione, perché li conosciamo dai tempi della Guerra fredda e oggi appaiono ancora più allucinati di quanto potessero essere i loro padri o fratelli maggiori nell’era della cortina di ferro.
L’Italia è stata messa all’indice al pari dei partner dell’Unione europea, degli Stati Uniti, del Canada o della Gran Bretagna e fin qui nessuna sorpresa. C’è anche la Svizzera, però, finita fra gli ‘ostili’ in un moto di stizza e sorpresa che al Cremlino non sono riusciti a contenere. Erano convinti di poter sfruttare antiche equidistanze, questa volta messe rapidamente da parte persino dalla Confederazione.
Perché, anche se la cosa potrà sorprendere l’aspirante zar, la Storia insegna e gli uomini ne sanno far tesoro, pur con tutti i loro limiti e imperfezioni. La Svizzera ricorda bene gli errori commessi con i nazisti e non desidera certo ripeterli neppure in minima scala. Fra i cattivi è finita anche la Repubblica di San Marino, ma c’è pure il Giappone e qui la faccenda si fa molto seria e va ben oltre la curiosità.
Torniamo all’Italia, ora, riflettendo su quanto tutto ciò che stiamo vivendo sia nuovo e sconcertante. Il nostro Paese, per il fatto di avere il più grande Partito comunista dell’Occidente, ma non solo, svolse un ruolo di ‘ponte’ con l’Unione sovietica lungo tutta la Guerra fredda. Sia per interessi domestici che per più ampi disegni internazionali.
Non smettemmo mai di fare affari con i sovietici, arrivando ad aprire la leggendaria fabbrica Fiat a Togliatti (non Togliattigrad), esperimento guardato con estrema attenzione a Washington, ma altrettanto certamente concesso all’Italia proprio per non chiudere quelle linee di dialogo che potevano sempre tornare utili. In particolare, nei frangenti di maggiore tensione. Oggi, rischia di non restar nulla.
Per paradosso, noi che abbiamo legato troppo il nostro fabbisogno energetico al gas russo, noi che abbiamo pensato di fare sempre più affari con Mosca – sorvolando su eccessi antidemocratici, violenze in patria e all’estero – in una manciata di giorni stiamo recidendo a uno a uno ogni cordone.
Fino alle parole ultimative del presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha annunciato il distacco totale dalle forniture energetiche russe entro due anni. Un addio mai visto e fragoroso, mentre le antiche (mica troppo) dichiarazioni d’amore di tanti per l’uomo forte di Mosca sfumano in imbarazzo e silenzio.
di Marco Sallustro
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