AUTORE: Jean Valjean
Sangue e morti, è la realtà della guerra. Parole, è il linguaggio della diplomazia. In Ucraina l’attacco russo a una nazione libera prosegue a colpi di bombe che fanno ogni giorno morti e feriti, distruggendo case e città. Per uscire da questa barbarie la diplomazia sta cercando una via possibile, ma sino a ora senza uscite accettabili. Per dialogare infatti bisogna essere in due e fino a oggi i russi non paiono affatto intenzionati a una tregua. Oltre alle parti in causa, poi, la via diplomatica richiede anche il “su che cosa” cominciare a parlarsi, che non è un dettaglio bensì la sostanza. Cosa vuole Putin? Tutta l’Ucraina? La sua neutralità e il suo disarmo garantiti? Vuole il Donbass con il corridoio che porta alla Crimea – dove si trova anche la città di Mariupol – annessi alla Russia?
Nonostante i desideri russi sull’Ucraina siano sinora non chiari, a parte bombardarla e uccidere, la diplomazia si muove continuamente. Dalla Turchia (Paese Nato) a Israele, c’è un gran lavorio. Ancora poche ore fa in una intervista il portavoce presidenziale turco Ibrahim Kalin spiegava che le parti starebbero negoziando sei punti (su quattro dei quali, secondo il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavusoglu, ci sarebbe un «quasi accordo»): la neutralità dell’Ucraina, il disarmo, le garanzie di sicurezza, la cosiddetta ‘denazificazione’, la rimozione degli ostacoli all’uso della lingua russa in Ucraina e lo status della regione separatista del Donbass e della Crimea, annessa dalla Russia nel 2014.
Letti così, d’acchito, sembrano tutti punti molto vicini alle volontà russe anziché a quelle ucraine anche se fa riflettere il fatto che, nonostante l’ottimismo dei turchi, da Mosca sia arrivata una secchiata d’acqua gelata sull’accordo possibile. «Al momento – ha fatto sapere il portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov – non ci sono ancora le basi per un incontro tra il presidente russo Putin e quello ucraino Zelensky, che avverrà quando ci saranno progressi significativi nei negoziati tra le delegazioni di Mosca e di Kiev», aggiungendo che «i progressi nei colloqui di pace non sono così grandi come avrebbero dovuto essere».
Oltre all’attivismo turco, sulla strada della diplomazia c’è anche Israele, che gioca un suo ruolo fin dal viaggio a Mosca del premier Naftali Bennett. Su questo fronte, parlando alla Knesset, il Parlamento israeliano, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto il perché della mancanza di una condanna esplicita della Russia da parte di Israele. I russi – ha detto Zelensky – parlano di «soluzione finale» per l’Ucraina e vogliono distruggere il Paese come i nazisti volevano distruggere gli ebrei. Parole chiare che non sono piaciute al premier Bennett che le ha così commentate: «Personalmente credo che la Shoah non debba essere comparata a nulla».
Dal punto di vista geopolitico non vi è dubbio che Israele, rispetto alla questione siriana e al tavolo sul nucleare iraniano, tenga molto a mantenere buoni rapporti con Mosca, centrale in entrambe le questioni. Dal punto di vista diplomatico, invece, emerge un problema nient’affatto secondario: oltre alla freddezza russa su una possibile pace e alle distanze tra Mosca e Kiev, affinché la diplomazia possa fare passi in avanti occorrerebbe che tanto la Russia quanto l’Ucraina si fidino del mediatore di turno. Si fida Putin dei turchi? Si fida Zelensky di Israele? Con questi interrogativi il lavorio della diplomazia prosegue. Lento. Mentre le bombe russe continuano a piovere sugli ucraini e sulle loro città.
di Jean Valjean
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