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Perché in Medio Oriente si festeggia (anche) la fine di Nasrallah

Nessuno piangerà Hassan Nasrallah. Anche a Teheran, dove era semplicemente un utile scherano sacrificabile

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Perché in Medio Oriente si festeggia (anche) la fine di Nasrallah

Nessuno piangerà Hassan Nasrallah. Anche a Teheran, dove era semplicemente un utile scherano sacrificabile

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Perché in Medio Oriente si festeggia (anche) la fine di Nasrallah

Nessuno piangerà Hassan Nasrallah. Anche a Teheran, dove era semplicemente un utile scherano sacrificabile

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Nessuno piangerà Hassan Nasrallah. Anche a Teheran, dove era semplicemente un utile scherano sacrificabile

L’eliminazione del capo di Hezbollah, il “partito di Dio“, Hassan Nasrallah è stata accolta in Medio Oriente in una cacofonia di dolore, lutto, esultanza e gioia. Incomprensibile solo per chi provi a capirci qualcosa di quell’inestricabile puzzle che è il Medio Oriente con gli occhi delle ideologie occidentali.

Pensiamo ai geni che ieri hanno offeso la senatrice Segre e sventolato una bandiera di Hezbollah nel corteo pro Palestina a Milano. Bisogna essere bacati per inneggiare a un’organizzazione che ha un solo obiettivo nella sua esistenza, foraggiata dagli ayatollah iraniani: seminare morte e distruzione. Hezbollah si è mangiato mezzo Libano, è l’unica struttura efficiente in un Paese che sarebbe una specie di paradiso ed è stato ridotto da decenni di ingordigia straniera (siriani e iraniani su tutti) in un inferno a cielo aperto.

Esistono per trovare aspiranti “martiri” con il solo obiettivo di portare avanti la politica dei padroni che siedono (più o meno) al sicuro a Teheran. Questo è Hezbollah, su questa organizzazione regnava Nasrallah nascondendosi da un bunker all’altro, facendo la vita del topo, mentre ruggiva nei video propagandistici.

Dunque, le donne sciite sono costrette a inscenare la solita pantomima delle lacrime, ma in Siria e non solo si esulta. Di sicuro non parliamo di aree dove Israele sia particolarmente popolare e allora? Come sempre, il mondo arabo è cosa ben diversa da quel monolite che i pacifisti a giorni alterni si divertono a raccontare. L’Iran è il nemico mortale di Israele, ma anche dell’Arabia Saudita e se quest’ultima formalmente si alza e se ne va all’Onu quando prende la parola il leader israeliano Benjamin Netanyahu, il 6 ottobre scorso era vicina ad allacciare relazioni diplomatiche con Tel Aviv. Furono gli altri terroristi stipendiati dall’Iran di Hamas a bloccare tutto con la mattanza del giorno dopo. Se in Israele a capo del governo non ci fosse Netanyahu, inchiodato all’alleanza con l’ultradestra, si potrebbero oggettivamente aprire scenari a oggi impensabili.

La mattanza di Gaza e il martirio del Libano di questi giorni non sfuggono a nessuno, a cominciare dagli amici di Israele come mi ritengo e non ho mai fatto alcun mistero di essere. La posizione di chi scrive – per il nulla che vale – è quella della Presidenza degli Stati Uniti d’America: Israele ha il sacrosanto diritto di difendersi e reagire agli attacchi, poi dipende come si reagisce. Tanto per chiarire.

Resta il fatto che nessuno piangerà Nasrallah. Anche a Teheran, dove era semplicemente un utile scherano sacrificabile.

Israele, reduce dall’infernale défaillance di intelligence e militare dal 7 ottobre 2023, ha riaffermato la sua assoluta supremazia nell’area, ma senza politica non si andrà da nessuna parte. Questo lo sanno tutti, anche Netanyahu, che però aspetta novembre e le elezioni americane, rinvia la resa dei conti personale e spiana nemici. Pur sapendo che tanti altri sono pronti a prendere il loro posto.

di Fulvio Giuliani

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