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Riconoscere

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Israele – Palestina. Il concetto di “due popoli e due Stati” non avrebbe dovuto essere il punto d’approdo dopo tante guerre, ma il punto di partenza per evitarle

Riconoscere

Israele – Palestina. Il concetto di “due popoli e due Stati” non avrebbe dovuto essere il punto d’approdo dopo tante guerre, ma il punto di partenza per evitarle

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Israele – Palestina. Il concetto di “due popoli e due Stati” non avrebbe dovuto essere il punto d’approdo dopo tante guerre, ma il punto di partenza per evitarle

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Il diritto a far nascere uno Stato palestinese e il connesso dovere degli altri, noi compresi, di riconoscerlo sono affermati fin dal 1947. Il concetto di “due popoli e due Stati” non avrebbe dovuto essere il punto d’approdo dopo tante guerre, ma il punto di partenza per evitarle. Lo Stato israeliano nacque subito, quello palestinese non nacque mai non perché Israele lo impedisse, ma perché la sua stessa nascita, nei confini fin da allora stabiliti, avrebbe comportato il riconoscimento dello Stato israeliano. E i palestinesi sono stati subito presi in ostaggio da chi non ha alcun interesse a che sia creato un loro Stato, ma punta a cancellare quello d’Israele.

Si giunse molto vicini a una pace reale – dopo gli accordi firmati – e alla convivenza pacifica, ma il capo del governo israeliano che aveva condotto all’accordo, Begin, fu ucciso (1992) da un fondamentalista israeliano e l’Autorità nazionale palestinese (corrotta) fu attaccata dalle forze estremiste e poi estromessa da Gaza ad opera di Hamas.

Da allora si sono provati i modi più opachi per preservare non la pace (lo stesso Netanyahu è considerato responsabile di avere favorito Hamas), ma almeno l’equilibrio di scontri a bassa tensione. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: una guerra sempre più feroce. Che senso ha, allora, che alcuni Paesi europei – da ultimo la Francia – intendano riconoscere uno Stato che non è nato e che comprenderebbe soggetti di evidente caratura terroristica? Un senso lo ha, perché Israele è governata da forze radicalizzate, talune in preda a fanatismo religioso, e ha in animo di occupare in via permanente sia Gaza che la Cisgiordania, vale a dire i territori su cui uno Stato palestinese dovrebbe, se esistesse, esercitare la sovranità. Ma la ‘Grande Israele’ non conquisterebbe la propria sicurezza, bensì la certezza della guerra eterna. Una concimazione dell’odio che già fiorisce rigoglioso di suo. A fronte di ciò, tornare a ripetere che si è a favore della formula “due popoli e due Stati” ha il sapore dell’inutile. Giusto, ma fuori dalla realtà.

Riconoscere, però, non si può farlo senza conoscere. Ha un senso intimare l’alt allo snaturamento di Israele, ma non è possibile ignorare la storia. Che racconta di un Israele vittima di attacchi, continuamente minacciato nella sicurezza e dolorosamente capace di proteggersi. Una storia che, secondo altri, racconta di una militarizzazione e di palestinesi che ne sono vittime. E che lo siano non ci sono dubbi, ma il loro nemico non è Israele, bensì chi li vuole morti pur di demolire la legittimità e la sicurezza di Israele. Nel tempo presente Israele ha accettato il ruolo dello sterminatore, proponendosi così di eliminare Hamas. Nella realtà tratta con Hamas, conseguendo l’effetto opposto.

Da quell’inferno non si esce senza un impegno internazionale, reso ancora più difficile da una presidenza americana che pare avere perso il controllo delle proprie parole.

Comunque sempre più lontane dal contare. Se l’attacco all’Iran avesse dato i suoi frutti, oggi Hamas dovrebbe essere in parte distrutta dalla guerra e in parte isolata per debolezza del suo mandante. Ma non è andata così, le bombe sull’Iran sembrano quasi essere state una commedia, mentre la festeggiabile caduta del siriano Assad impegna ancora Israele su quel fronte di guerra (a difesa dei meritevoli drusi). I colpi contro i terroristi di Hezbollah e Hamas sono andati a segno, ma restano esistenti e alimentati dagli effetti duraturi di quelle stesse bombe.

In quell’area noi europei contiamo poco. Perché lì come altrove contano le armi di cui si dispone e che si potrebbero mettere in campo. Armi che non abbiamo. Però riusciamo anche a dividerci sulle parole, con Germania e Italia ancora illuse che con Trump si possa trattare e che in Medio Oriente si possa tornare indietro, mentre la Francia, con un più dinamico presidente, si muove con un protagonismo che rende evidenti quelle distanze.

Che è la ragione per cui in quel dramma riconosciamo anche i nostri guasti.

Di Davide Giacalone

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