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Sono i nostri ragazzi
Massacro al rave party nel deserto del Negev. Nulla colpisce, inquieta, indigna, come le immagini degli ostaggi trascinati via e strappati ai propri cari
| Esteri
Sono i nostri ragazzi
Massacro al rave party nel deserto del Negev. Nulla colpisce, inquieta, indigna, come le immagini degli ostaggi trascinati via e strappati ai propri cari
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Sono i nostri ragazzi
Massacro al rave party nel deserto del Negev. Nulla colpisce, inquieta, indigna, come le immagini degli ostaggi trascinati via e strappati ai propri cari
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Massacro al rave party nel deserto del Negev. Nulla colpisce, inquieta, indigna, come le immagini degli ostaggi trascinati via e strappati ai propri cari
Le immagini dello sfacelo seguito all’attacco di Hamas a Israele sono tante. Nulla colpisce, inquieta, indigna come quelle degli ostaggi trascinati via, strappati ai propri cari, malmenati o peggio. Di alcuni non sappiamo neppure se fossero vivi, mentre una folla in preda all’isteria della violenza li riprendeva con i propri smartphone per farne strumenti di propaganda sanguinaria. Scene raccapriccianti. Ne vogliamo scegliere delle altre, però, per tornare a un sabato che Israele non potrà mai dimenticare: quelle del rave nel deserto del Negev. I terroristi lo avevano messo nel mirino o forse se lo sono trovati davanti (non lo sappiamo ancora con certezza), comunque sia lo hanno fatto diventare terreno di caccia della propria furia assassina.
Notizie ancora non confermate parlano di oltre 200 morti, forse 250, fra chi si era dato appuntamento per ballare in un giorno di festa. Un numero altrettanto imprecisato di ragazzi è stato trascinato via, per farne carne da macello del terrore, inghiottiti da quel luogo dimenticato da Dio e dalla civiltà che è diventata la Striscia di Gaza da quando è finita in mano a Hamas. Un’organizzazione cinica, sanguinaria, ma terribilmente lucida nei suoi obiettivi politici. Li dobbiamo guardare e riguardare quei ragazzi, prima, durante e dopo l’attacco terroristico: sono i nostri ragazzi, il nostro mondo. Sono i nostri figli che vogliono abbracciare la vita, pur con tutti i limiti, le indecisioni, i dubbi di tempi complessi e a tratti indecifrabili. Ragazzi – comunque la si guardi – che la vita la amano, magari rifiutano più o meno inconsciamente gli schemi proposti dai propri genitori, ma non conoscono la cultura della morte.
Quella praticata da coetanei che sono andati a caccia di esseri umani indifesi. Demoni che fingono di essere soldati, capaci solo di sparare sui civili. I nostri ragazzi – e quelli trucidati nel deserto sono nostri ragazzi, ripetiamolo – neppure considerano possibile qualcosa del genere, è estraneo al loro orizzonte esistenziale. Non perché viziati, ricchi, cresciuti nella bambagia – come ripetono dalla notte dei tempi gli adoratori delle dittature in giro per il mondo e per la storia, nel tentativo di ridicolizzare le democrazie – ma perché quei ragazzi, i nostri figli, si erano incontrati per ballare, ridere, divertirsi, cercare l’amore. Hanno trovato la morte.
Di Fulvio Giuliani
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