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Svelati, dopo la morte di Ebrahim Raisi

Ebrahim Raisi era un carnefice, non c’è ragione di cordoglio. Ma neanche di soddisfazione, perché non era lui il baricentro del potere iraniano. Lo è Ali Khamenei

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Svelati, dopo la morte di Ebrahim Raisi

Ebrahim Raisi era un carnefice, non c’è ragione di cordoglio. Ma neanche di soddisfazione, perché non era lui il baricentro del potere iraniano. Lo è Ali Khamenei

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Svelati, dopo la morte di Ebrahim Raisi

Ebrahim Raisi era un carnefice, non c’è ragione di cordoglio. Ma neanche di soddisfazione, perché non era lui il baricentro del potere iraniano. Lo è Ali Khamenei

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Ebrahim Raisi era un carnefice, non c’è ragione di cordoglio. Ma neanche di soddisfazione, perché non era lui il baricentro del potere iraniano. Lo è Ali Khamenei

Ebrahim Raisi era un carnefice, non c’è ragione di cordoglio. Ma neanche di soddisfazione, perché non era lui il baricentro del potere iraniano. Lo è Ali Khamenei. Il quale forse neanche si rammarica troppo della morte di quello che fu un suo seguace, visto che il suo trapasso potrebbe favorire l’ascesa del già lanciatissimo Mojtaba Khamenei, suo figlio. Sarebbe la degna degenerazione della rivoluzione fondamentalista, con l’approdo alla monarchia ereditaria. Ma più che scrivere di loro, c’interessa qui ragionare di noi.

L’Iran allarga la sua influenza grazie all’essere una statualità dedita al terrorismo. Un’attività che torna utile – in compartecipazione con un altro Stato canaglia, la Corea del Nord – per minacciare la sicurezza globale e prestarsi agli interessi della Russia di Putin, a sua volta utilizzata dalla Cina di Xi. Israele è il bersaglio immediato, in quanto avamposto dell’Occidente, ma serve a colpire l’intero mondo delle democrazie e a interdire l’azione politica delle potenze arabe sunnite. Arabia Saudita prima di tutte. Accanto a questa ambizione guerrafondaia, l’Iran resta un Paese il cui presidente vola su uno scarcassone antiquato perché non sono in grado di produrne di abili al decollo.

Non possiamo non prestare attenzione a tutto questo, perché ne va della nostra sicurezza. Ma è grave anche non prestare attenzione a quel che succede fra gli iraniani, così perdendo il senso del nostro vantaggio morale e politico. Può darsi che nelle nostre democrazie abiti qualche svalvolato ammiratore della teocrazia liberticida – che però si guarda bene dall’andare ad abitarla – ma sono migliaia gli iraniani che verrebbero volentieri a vivere da noi e non lo fanno perché impediscono loro di farlo e spesso li ammazzano prima. Alla notizia della morte di Raisi si sono accesi (a Teheran e in altre città iraniane) i fuochi d’artificio, il che dovrebbe illuminarci sul fatto che quello è un sistema tarlato e che crollerà. Le ragazze che affrontano la morte bruciando il loro velo in piazza mostrano un coraggio che dovrebbe svelarci la loro aspirazione: essere e vivere come noi.

Se si segue il nostro dibattito pubblico, se si riesce a trovare il modo d’interessarsi a questa campagna elettorale europea, è però tutta una geremiade di europei impotenti, bloccati, soccombenti, assediati, declinanti e via così andando in un lamentio privo di idee ma anche di banale buon senso: siamo noi la parte invidiata del mondo. I giovani di tutto il mondo vogliono avere i nostri costumi, ivi compresa la musica. I poveri di tutto il mondo vorrebbero vivere nella nostra ricchezza. I ricchi di tutto il mondo, avendo i soldi per farlo, appena possono vengono a vivere la nostra bellezza. La raffigurazione triste e perdente è riservata alla politica, affollata di politicanti che cercano una scusa per le loro incapacità e la trovano nell’incapacità dei loro colleghi militanti da contrapposti. La destra che si definisce per negazione della sinistra e la sinistra che si definisce per negazione della destra, ovvero due realtà che non saprebbero definirsi se non ci fosse l’altra a rappresentare un presunto sopruso o un presunto pericolo.

Intanto a Teheran sperano di svelarsi all’occidentale e a Tbilisi sventolano la bandiera dell’Unione europea per opporsi al rifinire sotto il tallone imperialistico di Mosca. Nell’Ue gli Stati confinanti vorrebbero entrare: chi ci riesce lo festeggia in piazza come una storica conquista; i soli che ne sono usciti ancora non si ripigliano dalla botta che si sono auto inferti e Paesi tradizionalmente neutrali si precipitano a entrare nella Nato perché vedono il concreto pericolo che le armate dell’asse del male provino a violentare le loro frontiere.

Svegli, che diamine. Toglietevi il velo del pregiudizio dagli occhi e svelate una consistenza politica che non sia soltanto la raccolta del consenso per tifoseria o desiderio di vendetta. Perché quel che sembra è proprio che i soli a non rendersi conto della propria forza siamo noi. Ed è riprovevole.

di Davide Giacalone

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