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Trump e il piano di pace per Gaza

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Il piano dell’amministrazione Trump per Gaza – composto di 20 punti – lascia perplessi per diversi motivi. Ecco perché

Trump e il piano di pace per Gaza

Il piano dell’amministrazione Trump per Gaza – composto di 20 punti – lascia perplessi per diversi motivi. Ecco perché

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Trump e il piano di pace per Gaza

Il piano dell’amministrazione Trump per Gaza – composto di 20 punti – lascia perplessi per diversi motivi. Ecco perché

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Nel corso del suo primo mandato, nel 2020, Donald Trump riuscì a concludere gli Accordi di Abramo, riconciliando Israele con una parte significativa (ma non totalitaria) del mondo arabo e musulmano. Fu il suo più importante risultato in politica estera ed è la ragione per cui non si può e non si deve escludere che il piano di pace per Gaza possa funzionare.

Il piano di Trump per Gaza

Neanche si può tacere quel che lascia perplessi e cioè quella clausola non scritta, non compresa nei 20 punti del piano ma declamata con grande chiarezza, un “altrimenti” che suona sinistro: se entro 72 ore dall’accettazione israeliana del piano non ci saranno stati la restituzione degli ostaggi e gli altri passaggi previsti, se Hamas non accetterà quindi la capitolazione e la sparizione, allora Israele potrà «completare il lavoro». Con l’appoggio statunitense. In tre giorni il futuro di Gaza potrà essere radioso, ma potrebbe anche essere assai peggio del suo presente.

La condizione dell’accordo è che Gaza sia ripulita da ogni organizzazione terroristica. Hamas ha non solo ammazzato e sgozzato civili, donne e bambini israeliani nella culla, non solo ha voluto e propiziato la carneficina dei gazawi, non solo ha tenuto gli ostaggi per non perdere il potere di ricatto: ha continuato ad affermare che il fine ultimo della propria azione è la cancellazione di Israele dalla carta geografica. In questo appoggiato dall’Iran, i cui governanti neanche pronunciano il nome di Israele, chiamandolo «entità sionista». Tutto questo dovrebbe scomparire perché così vuole l’emiro del Qatar, felice della genuflessione ottenuta da Netanyahu dopo che gli israeliani avevano colpito uomini di Hamas a Doha. Sarebbe bello e dimostrerebbe che Hamas è una organizzazione terroristica mercenaria, pronta a ubbidire al padrone esterno al mondo palestinese.

Il punto di caduta finale del piano consiste nel creare le condizioni in base alle quali nascerà lo Stato di Palestina

Il punto di caduta finale del piano consiste nel creare le condizioni in base alle quali nascerà lo Stato di Palestina, con Gaza non più sgomberata e balnearizzata ma ricostruita per chi già ci vive. La settimana scorsa Netanyahu e altri esponenti del suo governo escludevano che uno Stato palestinese potesse mai nascere, anzi parlavano esplicitamente di annettere la Cisgiordania, ovvero la parte di territorio palestinese dove regna l’Anp (Autorità nazionale palestinese), fiacca avversaria di Hamas. E nei 20 punti non c’è alcun accenno alla Cisgiordania, in compenso si dice che il governo provvisorio sarà gestito da Trump, Tony Blair e da tecnici palestinesi (probabilmente scelti da loro) e che non ci sarà nessuna presenza politica palestinese. Il che esclude anche l’Anp, evidentemente non gradita a chi garantisce per Hamas.

Per i ministri che stanno al governo con Netanyahu è l’opposto di quel che hanno sostenuto. Come pensa di far stare in piedi il suo governo? Per giunta, nel caso in cui le cose andassero per il meglio e sbocciasse la pace, con la chiusura della guerra a Netanyahu potrebbe aprirsi la porta della galera, per cui dovrebbe convincere i suoi ministri estremisti a divenire moderati e il presidente israeliano a garantirgli una specie d’impunità. Vabbè che è bravo, ma potrebbe essere troppo.

Molto dipenderà dall’“altrimenti”

E allora? Allora molto dipenderà dall’“altrimenti” e da quello che ciascuna delle parti ha in mente di fare nel corso di quelle 72 ore: se rendere più facile o più difficile l’esito felice. Nel caso il piano saltasse, Netanyahu potrebbe dire ai suoi: vedete che ho avuto ragione? Ora andiamo avanti e nessuno può fermarci, spianiamo Gaza e annettiamo la Cisgiordania. Mentre Hamas recupererebbe gli appoggi per la gestione del terrore infinito, riprendendo i palestinesi in ostaggio e contando sul consenso di occidentali che non ci hanno capito niente.

Spero che a Trump sia dato il premio Nobel per la pace, a dispetto delle minacce alla Groenlandia e al Canada. Non sulla fiducia, come quello grottesco a Obama, ma per il buon esito di questa operazione. L’alternativa sarebbe un orrore amplificato giocando con una storia e un mondo che non si è in grado di maneggiare.

di Davide Giacalone

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