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Trump e Putin

Trump non è gli Usa

La ritrovata partnership fra Trump e Putin e l’inquietante similitudine con la spartizione della Polonia degli anni Trenta. La storia che si ripete a volte è una farsa, a volte una tragedia. E quando la forza del diritto è cancellata dal diritto della forza, la tenebra avvolge il mondo

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Trump non è gli Usa

La ritrovata partnership fra Trump e Putin e l’inquietante similitudine con la spartizione della Polonia degli anni Trenta. La storia che si ripete a volte è una farsa, a volte una tragedia. E quando la forza del diritto è cancellata dal diritto della forza, la tenebra avvolge il mondo

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Trump non è gli Usa

La ritrovata partnership fra Trump e Putin e l’inquietante similitudine con la spartizione della Polonia degli anni Trenta. La storia che si ripete a volte è una farsa, a volte una tragedia. E quando la forza del diritto è cancellata dal diritto della forza, la tenebra avvolge il mondo

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La ritrovata partnership fra Trump e Putin e l’inquietante similitudine con la spartizione della Polonia degli anni Trenta. La storia che si ripete a volte è una farsa, a volte una tragedia. E quando la forza del diritto è cancellata dal diritto della forza, la tenebra avvolge il mondo

All’indomani della ritrovata partnership fra Trump e Putin, tra le tante similitudini con gli anni Trenta del Novecento quella riguardo alla spartizione della Polonia è la più inquietante. Il 23 agosto 1929, a Monaco, il ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop e quello sovietico Vjačeslav Molotov firmarono un patto di non aggressione che impegnava «a non aggredirsi reciprocamente e a non appoggiare potenze terze in azioni offensive». Di fatto, il Terzo Reich e il regime comunista sovietico stilarono un’intesa per accaparrarsi un pezzo ciascuno di territorio (e di risorse), cancellando lo Stato di Varsavia. Come finì lo sappiamo.

In realtà oggi le cose sono diverse perché allora né Berlino né Mosca erano in guerra con altri Paesi, mentre ora cade l’anniversario del terzo anno del conflitto scatenato da Putin con l’invasione dell’Ucraina. Che poi il neo presidente americano per mettere fine alla guerra sia disposto ad assecondare le richieste dell’Orso russo, escludendo sia l’Europa che Kiev dalle trattative di pace, è cronaca dei giorni nostri. Ma la lezione di allora è di una attualità lancinante. La storia che si ripete a volte è una farsa, a volte una tragedia. E quando la forza del diritto è cancellata dal diritto della forza, la tenebra avvolge il mondo.

Sempre la storia ci ricorda che quando le spinte estremistiche furoreggiano, gli equilibri geopolitici si disgregano. Con risultati pari a quelli appena menzionati. Quando la ragione prevale, avviene il contrario. Al di là delle fatue interpretazioni di comodo, i risultati delle elezioni tedesche ci dicono questo, con AfD e la Linke risorta dalle ceneri a fare da spettatori giocando da comprimari e non da protagonisti. Il che ci porta anche a The Donald. Trump si è insediato alla Casa Bianca da un mese e mezzo e ha nutrito il mondo delle sue rodomontate. Vedremo quale sarà il bilancio finale, con un obbligo specifico per chi ama l’Occidente, la sua cultura, le sue regole: che una cosa è il miliardario diventato commander in chief e un’altra gli Stati Uniti complessivamente intesi. Confondere l’uno con gli altri è un pessimo esercizio per chi ama la pace.

Ne è un plastico esempio la questione delle truppe di terra da spedire in Ucraina, invocate da Francia e Gran Bretagna per garantire a Kiev autonomia e indipendenza. A parte il fatto che lascia interdetti che Londra (che ha compiuto un suicidio politico con la Brexit) ora voglia assumere un ruolo di leadership in Europa e che Parigi (che all’epoca rigettò la Costituzione europea, facendo naufragare il più serio tentativo di costruire un’unità continentale non solo monetaria) oggi convochi vertici più o meno ristretti per un’azione comune della Ue, la cifra di un contingente di trentamila soldati che è stata avanzata è del tutto incongrua. Per ottenere risultati concreti ne servirebbero almeno il doppio, ben sapendo che finora le missioni di peace-keeping o peace-enforcing sono state pagate da organismi sovranazionali come Onu o Nato. Chi pagherebbe adesso le truppe da inviare ai confini ucraini, comunque vengano definiti? E soprattutto, per quanto tempo il contingente dovrebbe rimanere? Davvero è immaginabile che una quantità ultra considerevole di risorse possa essere destinata sine die su un fronte che sarebbe vastissimo? Potrebbero farlo uno Starmer ai minimi di popolarità e un Macron sul viale dell’addio alla presidenza? Vale la pena ricordare che in Libano i soldati italiani sono lì dal 1982: se quarantatré anni vi sembrano pochi…

Al dunque il contingente ‘booths on the ground’ ha senso solo se sostenuto dagli americani. Per questo è necessario mantenere i nervi saldi e non mandare all’aria i rapporti con Trump, anche se il presidente americano fa di tutto per rescinderli. In caso contrario l’unico risultato sarà il sardonico sorriso di Putin.

Di Carlo Fusi

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