Dall’Ucraina alla Cina: perché la pace non si costruisce a due
brani di carne ucraina – grondanti sangue degli aggrediti che si difendono e di un’enormità di giovani russi e coreani che imbracciano le armi dell’aggressore – saranno un dettaglio
Dall’Ucraina alla Cina: perché la pace non si costruisce a due
brani di carne ucraina – grondanti sangue degli aggrediti che si difendono e di un’enormità di giovani russi e coreani che imbracciano le armi dell’aggressore – saranno un dettaglio
Dall’Ucraina alla Cina: perché la pace non si costruisce a due
brani di carne ucraina – grondanti sangue degli aggrediti che si difendono e di un’enormità di giovani russi e coreani che imbracciano le armi dell’aggressore – saranno un dettaglio
I brani di carne ucraina – grondanti sangue degli aggrediti che si difendono e di un’enormità di giovani russi e coreani che imbracciano le armi dell’aggressore – saranno un dettaglio. Complicato, doloroso, ma pur sempre un dettaglio. La Russia non sa che farsene di nuovi sudditi, che inevitabilmente diventerebbero vendicativi oppositori, né di terre e materie prime di cui già abbonda. La guerra scatenata da Putin, che è il presente culmine di guerre ventennali, ha come scopo la vendetta imperiale e la pretesa sulla Crimea è la zarista proiezione della forza armata verso il Mediterraneo. Quello che vuole è che alla Russia, nano economico e armata di nucleare per eredità sovietica, sia riconosciuto lo status di potenza imperiale, pertanto con il diritto ad aree di influenza nelle quali nessuno possa mai mettere becco. Come capitò quando invasero Budapest o Praga e il mondo libero guardò sgomento e inerte. Questo è lo scopo della guerra. Questo quello che Putin vorrebbe fosse l’oggetto del negoziato.
Trump gli offre una mano con l’ingresso sul suolo americano, senza cercare aree terze e, quindi, gli offre il riconoscimento di leader imperiale con il quale negoziare. È quello che Putin chiede dal primo momento, rifiutando tutte le numerose offerte di negoziato giunte dagli europei e dalla Turchia. Ma lui cercava la partita a due, con l’implicito riconoscimento della pari dignità. Trump gli offre la mano perché in quello vede un comune interesse, consistente nel distruggere ogni sede multilaterale e cancellare ogni pretesa politica dell’Unione Europea. In cambio chiede il riconoscimento, non per gli Stati Uniti ma per sé stesso, di unico interlocutore.
Dunque il gelo dell’Alaska raffredderà i conflitti e congelerà il fronte ucraino? Non è così semplice. Fosse per quei due, sì, probabilmente accadrebbe. Ma, a dispetto delle loro illusioni, non sono soli.
I tanti europei che non sanno far altro che crogiolarsi nelle presunte impotenza e ininfluenza continentale osservino la costanza e la veemenza con cui l’Ue viene attaccata, sia sul piano politico che su quello commerciale. Non avrebbe senso, se non si contasse niente. Invece la posizione europea pesa, anche perché trova sponde. La richiesta non è quella di avere un ruolo in Alaska, ma che lo abbia l’Ucraina. E non è solo giusto, dal punto di vista morale e del diritto, ma ha anche un solidissimo appiglio storico: nel 1938 la pace si fece, a Monaco, senza neanche invitare la Cecoslovacchia che veniva spartita. Ma il risultato fu l’accordo fra Hitler e Stalin, l’aggressione alla Polonia e l’inizio della Seconda guerra mondiale. In un solo anno la pace divenne guerra totale.
Quello che in Alaska non sarà possibile fare è sganciare il collare che la Cina ha messo al collo della Russia. Putin può provare a inquinare le acque nelle democrazie occidentali, ma annega se ci prova in Cina. Sicché Pechino non si sentirà minimamente vincolata da accordi fra due che pensano d’essere i soli a imperare e fingono di non sapere che quello cinese è il più antico impero vivente, il che porterà ad altre violazioni della sovranità, usando il peso della potenza. Un quadro nel quale il mondo diventa non maggiormente impegnato in guerre – ce ne sono una cinquantina sempre aperte – ma insicuro perché le grandi potenze le promuovono in proprio. E a chi invoca la pace rispondono e risponderanno: accettate il nostro giusto dominio e si vivrà in un mondo di pace eterna. Quella dei cimiteri ove seppellire gli umani combattenti o l’umanità renitente.
Costruire la pace oggi comporta il rifiutare la logica imperiale e sapersi muovere anti, contro quella. Sul resto, presente l’Ucraina, si negozia tutto. Gli europei che si attarderanno nella lamentazione su dazi e accordi farlocchi saranno colpevoli di un drastico ridimensionamento di noi tutti. Perché, nel caso non fosse chiaro, è il nostro peso che pensano di mettere sul tavolo in cui macellare terre e popoli. È prudente accorgersene prima che si tocchi l’osso.
di Davide Giacalone
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche