Ucraina, Putin e Trump: incartati
Le parole di Putin non cambiano in niente la situazione dell’Ucraina, il rifiuto è indirizzato a Donald Trump
Ucraina, Putin e Trump: incartati
Le parole di Putin non cambiano in niente la situazione dell’Ucraina, il rifiuto è indirizzato a Donald Trump
Ucraina, Putin e Trump: incartati
Le parole di Putin non cambiano in niente la situazione dell’Ucraina, il rifiuto è indirizzato a Donald Trump
Le parole di Putin non cambiano in niente la situazione dell’Ucraina, il rifiuto è indirizzato a Donald Trump
La guerra in Ucraina è in corso da più di tre anni. Né nel suo inizio né nella condotta russa c’è nulla che abbia a che vedere con il diritto internazionale e con le regole che presiedono ai conflitti: quello russo è terrorismo di Stato. Gli ucraini non hanno chiesto alcuna tregua, hanno acceduto a una pressione (e che pressione) americana. Quindi le parole di Putin non cambiano in niente la situazione dell’Ucraina, il rifiuto è indirizzato a Donald Trump.
Pensava di avere le carte ed è finito incartato. Lo avevamo anticipato: se Putin accetta la tregua dimostra debolezza e se non accetta mette nei guai il presidente americano. E per avere chiaro il contesto, prima ancora che le parole di Putin aiutano quelle di un suo vassallo, giunto a Mosca per incontrarlo. Ha detto Alexander Lukashenko, despota della Bielorussia: «So per certo che gli americani non hanno alcun piano per il conflitto ucraino, assolutamente nulla». Il personaggio è tale che ci mette niente a smentirsi o a rincarare la dose, ma essendo escluso che parli senza autorizzazione dal Cremlino, è difficile immaginare una più profonda offesa all’indirizzo della Casa Bianca.
Provando a razionalizzare la condotta del presidente americano, qualcuno si è spinto a sostenere che se aveva definito Putin come degno di «fiducia» e previsto la sua «generosità», Trump non faceva altro che mettere in campo la sua mitica capacità negoziale. Poche ore prima che Putin parlasse aveva precisato che se fosse giunto un rifiuto della tregua ci sarebbero state «sanzioni devastanti». Il rifiuto è arrivato, sebbene incartato dentro un improbabile ragionamento secondo cui quella cui si deve puntare non è una sospensione del conflitto ma una sua risoluzione duratura. Quale? Putin ha subito chiesto di incassare un altro risultato: ne parlerò direttamente con Trump. Il che comporta un ulteriore prezzo per quest’ultimo. Non che, anche lui, abbia particolari problemi a smentirsi e contraddirsi, ma c’è un punto oltre il quale anche il più affezionato pubblico capisce che financo Lukashenko potrebbe avere ragione.
Volendo escludere che la giravolta della Casa Bianca abbia preso corpo sulla base di una reale e umana ammirazione – quasi una fascinazione – per il dittatore russo, sempre compiendo degli sforzi di razionalizzazione si è supposto che lo scopo fosse quello di dividere la Russia dalla Cina, quest’ultima individuata come il reale antagonista. Ma il tentativo, se era quello, è andato a vuoto e i legami sono stati riconfermati dall’una e dall’altra parte. La ragione è anche di tipo economico, visto che la macchina produttiva russa è oramai in grado di generare soltanto armi e guerra. Fra il 2022 e il 2023 le esportazioni russe in Unione Europea sono diminuite di 150 miliardi (prendano nota, quelli che ripetevano le veline sull’inefficacia delle sanzioni), mentre le esportazioni verso la Cina e l’India sono salite di 70 miliardi. Quindi la ricca Cina (per giunta con l’India) non ha compensato neanche la metà delle perdite russe. Ma senza quei 70 miliardi il crollo sarebbe stato ancora più rovinoso e forse fatale. Per giunta la Russia così ridotta pone un evidente problema all’Occidente. Quindi o si negozia con Pechino – che gode – o ci si può scordare di negoziare per dividerli. E anche questa è una sconfitta che Washington incassa.
Gli ucraini sono certamente esausti, ma determinati a combattere. A oggi il territorio occupato dai russi è inferiore a quello che occuparono all’inizio. Il Kursk nel quale ‘avanzano’ è casa loro e a combattere sono i coreani. La propaganda della grande potenza russa è fuffa. Ma in queste condizioni la guerra potrà durare all’infinito. Né si predispone a negoziare un Putin che rifiuta forze di interposizione e chiede quale sia la garanzia che l’eventuale tregua non sia violata, sapendo che a violarla sarà lui che la guerra l’ha iniziata.
Se a Washington si fidano ancora della sua generosità, non resta loro che inviargli degli aiuti. In concorrenza con la Cina.
di Davide Giacalone
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