Uragano Musk: novità, rischi e opportunità
Con Musk la tipologia di mega imprenditore o super manager entra direttamente nell’amministrazione Usa e diventa parte integrante e qualificante della politica di Trump
Uragano Musk: novità, rischi e opportunità
Con Musk la tipologia di mega imprenditore o super manager entra direttamente nell’amministrazione Usa e diventa parte integrante e qualificante della politica di Trump
Uragano Musk: novità, rischi e opportunità
Con Musk la tipologia di mega imprenditore o super manager entra direttamente nell’amministrazione Usa e diventa parte integrante e qualificante della politica di Trump
Con Musk la tipologia di mega imprenditore o super manager entra direttamente nell’amministrazione Usa e diventa parte integrante e qualificante della politica di Trump
C’è una foto che all’epoca fece il giro del mondo: ritrae l’allora Presidente degli Stati Uniti Barack Obama a cena con i capi delle big tech statunitensi. C’era ancora Steve Jobs, c’erano fra gli altri Mark Zuckerberg, Dick Costolo Ceo di Twitter (Musk non era arrivato…), Larry Ellison di Oracle, Reed Hastings di Netflix, John Hennessy presidente della Stanford University, il capo di Google Eric Schmidt.
Tutti californiani o di estrazione, cultura, formazione californiana. Istintivamente democratici, sostenevano con un mare di quattrini – come molti di loro hanno sostenuto oggi la campagna di Kamala Harris – un’amministrazione che ritenevano potesse garantire gli spazi per espandere i loro giganteschi business.
Con Elon Musk quella tipologia di mega imprenditore o super manager entra direttamente nell’amministrazione e diventa parte integrante e qualificante della politica del Presidente degli Stati Uniti d’America.
Nato in Sudafrica (e più di qualcuno tira un sospiro di sollievo perché non potrà candidarsi alla presidenza essendo nato all’estero), studiò fra Canada e Pennsylvania e in California ci andò nel 1995 a 24 anni, ma nell’iconica Stanford University – di cui non a caso in quella famosa cena c’era il rettore – durò due giorni per fondare nel giro di cinque anni PayPal, suo primo clamoroso successo.
L’humus non è tipicamente californiano, Musk vuole distinguersi e infatti porterà la sede della sua creatura più famosa – Tesla – ad Austin, nel Texas. Stato visceralmente agli antipodi della California. Mondo che ha finito per creare una serie di riferimenti anche di carattere culturale che l’America di Trump ormai rifiuta ed è l’America che ha vinto a mani basse le elezioni.
Con Musk si fa strada al più alto livello un’idea di impresa, rapporto fra istituzioni e mondo economico completamente diversa. Basti pensare, volendo restare in casa nostra, che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sentito mercoledì Trump e ieri proprio Musk: “Ho sentito l’amico Elon – lo ha fatto sapere ovviamente su X la Meloni – e sono convinta che il suo impegno e la sua visione potranno rappresentare un’importante risorsa”.
La figura di Elon Musk solleva interrogativi che chiunque abbia a cuore il libero accesso all’intelligenza artificiale e alle piattaforme online non può non porsi. È un tema di scelte politiche ed enti regolatori e con Musk insediato nello Studio ovale sarebbe ingenuo aspettarsi scelte contrarie ai suoi interessi. Al contempo, proprio il fondatore di Tesla rappresenta anche una garanzia.
Se il Presidente eletto ha già ribadito che l’energia da fonti fossili resterà centrale, l’influenza di Musk in tema di innovazioni e sfide tecnologiche si farà sentire. Questo è un bene, perché si può sperare in un forte impegno nella ricerca e sviluppo e nel destinare ingenti risorse a campi – per richiamare gravi errori europei – in cui si sta concedendo un vantaggio strategico incolmabile alla Cina e al Far East.
di Fulvio Giuliani
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