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Alaska, Putin incassa un riconoscimento imperiale, mentre la sua pretesa di tradurlo nello smembramento e nella subordinazione dell’Ucraina dev’essere respinta

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Alaska, Putin incassa un riconoscimento imperiale, mentre la sua pretesa di tradurlo nello smembramento e nella subordinazione dell’Ucraina dev’essere respinta

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Alaska, Putin incassa un riconoscimento imperiale, mentre la sua pretesa di tradurlo nello smembramento e nella subordinazione dell’Ucraina dev’essere respinta

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Dell’odierno incontro in Alaska non resta che attenderne gli esiti. Putin incassa un riconoscimento imperiale, mentre la sua pretesa di tradurlo nello smembramento e nella subordinazione dell’Ucraina dev’essere respinta. Trump incassa il ruolo (più personale che come Usa) di interlocutore privilegiato, mentre la capacità di tradurlo in un effettivo contenimento dell’espansionismo russo dev’essere sostenuta, ma prima ancora dimostrata.

Sbaglia chi crede e ripete che in questo Ferragosto non abbia pesato il ruolo degli europei. Sul lato russo pesa la fermezza con cui si continua a sostenere gli ucraini, anche dal punto di vista militare; il che, ogni giorno che passa, acuisce la sconfitta russa, certificata dalla non vittoria su un avversario che considerava tanto inferiore. Sul lato americano pesa il non essersi divisi dopo il suo attacco commerciale – che è politico – e l’avere impedito di replicare la Conferenza di Monaco. A Trump non piace, ma il punto fermo che non si negozia senza l’aggredito l’ha dovuto deglutire. E non è poco.

Il negoziato vero – quando sarà veramente aperto – dovrà comprendere ogni possibile via per porre fine al conflitto, ostruendo quelle che premino l’aggressore e la sua violazione di ogni diritto internazionale. Compreso quello di guerra. Se il tempo necessario, che non sarà poco, fosse anche quello di un cessate il fuoco sarebbe già un risultato, ma il solo congelamento del fronte sarebbe un concedere troppo al bellicoso imperialismo di Putin.

Gli europei sono riusciti a pesare realizzando un mezzo miracolo: il ricongiungersi degli interessi fra l’Unione Europea e il Regno Unito. Il merito è dei “volenterosi”, impostati da Francia, Germania e Regno Unito, cui l’Italia fece – sbagliando – iniziale resistenza.

Siccome non c’è strada migliore per essere sconfitti che quella di non essere consapevoli delle proprie forze e dei propri successi, tornano assai utili le parole di Guido Crosetto, che ha ragione nel dire: «L’Ue, così com’è, non esiste come entità statuale (…). Non ha una politica estera, non ha un leader eletto dal popolo». Vero. Le cose stanno così anche perché vi sono forze, come quella in cui milita lo stesso Crosetto, che lo hanno reso assai difficile. Ci vuole o no quel salto di potenza e responsabilità? Noi europeisti crediamo di sì ed è da considerarsi un buon risultato se, sia pure arrivandoci di carambola, a questa consapevolezza è giunto chi si opponeva.

Chiunque governi in Italia, non potrà venire meno alle condizioni stesse che resero possibile l’Unificazione e poi la crescita della Repubblica: l’integrazione europea (il fascismo la ruppe e fu un’umiliante catastrofe). Su tante scelte specifiche si possono avere idee diverse, ma non sul contesto. Lo si vide quando nacque il primo governo Conte, che raccoglieva il peggio dell’antieuropeismo italiano e dovette correggersi, salvo poi ricollocare le sue componenti in governi europeisti. Poi – nascosto dietro un pacifismo che odora di falso e fa il verso ai figli dei fiori – a stroncare il putinismo provvide l’imperialismo guerrafondaio russo (il merito di Fratelli d’Italia è di averlo capito prima di andare al governo).

Il che ci porta a un aspetto su cui tutti farebbero bene a riflettere: una forza politica ha sempre bisogno di raccogliere voti, ma è inesistente se li raccatta avendo rinunciato al compito fondamentale di convincere l’opinione pubblica. Se vuoi guidare e non soltanto inseguire, devi avere la forza di spiegare e motivare i cambiamenti. Altrimenti è solo trasformismo da voltagabbana, in fondo traditore dei voti raccolti. Per raccogliere profittevolmente si deve seminare onestamente. Vale per chi governa e vale per chi si oppone, tanto più che la collocazione internazionale di un Paese non può cambiare a ogni scadenza elettorale: meglio darsi una mano piuttosto che mettersi le dita negli occhi.

Le abiure non servono, ma per essere volenti e non dolenti a rimorchio occorre anche il coraggio di non camuffare, oltre ad abbellirle, le proprie posizioni.

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