Alle 17,43 del 27 novembre 2013 l’aula di palazzo Madama decretò, in base alla legge Severino, la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. Lo fece a scrutinio palese sulla base di una decisione assunta dall’allora presidente, Pietro Grasso. Inutilmente la presidente attuale del Senato, Maria Alberti Casellati, invocò lo scrutinio segreto. Cosa che mercoledì dal suo scranno ha invece deliberato per la tagliola sulla legge contro l’omostransfobia. Matteo Renzi, che un mesetto dopo sarebbe diventato segretario del Pd, votò a favore della decadenza mentre il presidente del Consiglio, Enrico Letta, anche lui Pd, fu accusato di voler schernire il Cav. Particolare non ininfluente a proposito dell’esultanza per l’affossamento del ddl Zan: al momento del voto, i settori di destra dell’emiciclo inveirono contro i senatori a vita al grido di «Vergognatevi, ci siete solo oggi».
Perché fatto decadere a voto palese può succedere – per molti un vero incubo – che a scrutinio segreto, condito dall’appoggio inconfessato e inconfessabile di una cinquantina di franchi tiratori, l’esautorato Signore di Arcore possa finire addirittura al Quirinale: unbelievable.
L’epilogo nefasto, sempre al Senato (attenzione: a Roma ci assassinarono perfino Giulio Cesare), del ddl Zan affondato appunto a scrutinio segreto, ha acceso tutti gli allarmi nel centrosinistra. Mentre infatti il centrodestra ha votato compatto per il no, il centrosinistra si è dilaniato tra sospetti, accuse, polemiche. Se il copione venisse ripetuto tra i Grandi elettori – grazie ai tiratori franchi col volto coperto nell’urna – ogni esito diventerebbe possibile.
Si vedrà. Nonostante tutto, le possibilità di vittoria dell’ex presidente del Consiglio restano minimali. Ma anche le condizioni politiche rimangono indecifrabili. Il paradosso è che l’unica strada per evitare le trappole degli scrutini segreti è costruire prima del voto una (cabina di) regia il più possibile larga che porti alla scelta di un candidato il più possibile ‘unificante’.
Ovviamente da questa cabina non potrebbe essere escluso Berlusconi stesso che, novella Fenice, è tornato al centro della scena. Redivivo, il Cav – candidato storicamente divisivo – dovrebbe lavorare per una soluzione unitaria che al dunque lo escluderebbe. Bel pasticcio, no? Senza contare l’ultima capriola: che nell’impazzimento generale i franchi tiratori impallinino Berlusconi medesimo.
Di Carlo Fusi
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