Come il baccanale ha zittito chi guida il governo
Affermare che le ultime misure anti-pandemia varate dal governo abbiano peccato di confusione è un eufemismo. La domanda da porsi è perché si sia prodotto un tale straniamento su un terreno delicatissimo che rappresenta il principale core business di Mario Draghi a Palazzo Chigi.

Come il baccanale ha zittito chi guida il governo
Affermare che le ultime misure anti-pandemia varate dal governo abbiano peccato di confusione è un eufemismo. La domanda da porsi è perché si sia prodotto un tale straniamento su un terreno delicatissimo che rappresenta il principale core business di Mario Draghi a Palazzo Chigi.
Come il baccanale ha zittito chi guida il governo
Affermare che le ultime misure anti-pandemia varate dal governo abbiano peccato di confusione è un eufemismo. La domanda da porsi è perché si sia prodotto un tale straniamento su un terreno delicatissimo che rappresenta il principale core business di Mario Draghi a Palazzo Chigi.
Affermare che le ultime misure anti-pandemia varate dal governo abbiano peccato di confusione creando spaesamento e incertezza nei cittadini è un delicato eufemismo che paga corposo dazio all’ipocrisia. Mettiamo un cerotto sulle insufficienze dicendo che la comunicazione istituzionale non è stata all’altezza. Però è ovvio che non basta. La domanda da porsi è perché si sia prodotto un tale straniamento su un terreno delicatissimo che rappresenta il principale, anche se non unico, core business di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Ognuno può metterci le ragioni che crede. Qui proviamo a elencarne due, intrecciate e capaci di influenzarsi reciprocamente.
La prima è che la confusione nasce e si alimenta per il fatto, diciamo così, che sul volante dell’esecutivo ora ritengono di poterci mettere le mani tutti, sottraendolo al driver scelto apposta in quanto asso della guida.
Figuriamoci cosa accadrebbe se in tanti si affollassero nell’abitacolo di una Formula Uno, sparando nel microfono che collega ai box una sequela di indicazioni contraddittorie, con la pretesa di vincere così la gara. Il minimo sarebbe una serie di sbandamenti, col risultato di finire fuori pista invece di arrivare al traguardo. Nelle cabine dei regia e nei Consigli dei ministri accade più o meno lo stesso. E il problema non è che il driver non alzi abbastanza la voce quanto che il baccanale nei saloni della sede del governo è tale da renderla inintelligibile. L’idea che SuperMario sia colpevole perché non fa il demiurgo e zittisce la riottosa maggioranza è fuorviante almeno quanto il suo contrario, cioè che volteggi sulle aporie dei leader dei partiti accarezzandole per il verso della loro incoerenza.
Si dirà: beh, per un presidente del Consiglio lodato e stralodato la strada maestra per uscire dall’impasse è scendere in sala stampa e spiegare per filo e per segno al Paese come stanno le cose. Già. Ma proprio qui sovviene la seconda ragione.
Draghi in realtà non può parlare. Perché se lo fa – come accaduto nella conferenza stampa di fine anno quando gli fu rimproverato senza fondamento di essersi candidato al Colle – ogni sua parola scolora di fronte all’interrogativo: insomma vuoi andare al Quirinale oppure no? Qualunque cosa dica viene letta con gli occhiali della strumentalizzazione riguardo la corsa presidenziale.
Ne consegue un assurdo che poi è l’ennesima torsione del nostro sistema: un capo del governo con un bavaglio imposto da chi opportunisticamente vuole sbizzarrirsi con la personalità più importante che è sul proscenio. Senza capire che quel bavaglio è una pietra tombale sulla governabilità del Paese. Sempre che la cosa importi a qualcuno.
di Carlo Fusi
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