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Dentro o fuori

Abbiamo leader che la mattina dicono una cosa e la sera l’opposto: basta avere un microfono davanti, che problema c’è? Ma sulla guerra non si può fare così

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Abbiamo leader che la mattina dicono una cosa e la sera l’opposto: basta avere un microfono davanti, che problema c’è? Ma sulla guerra non si può fare così

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Abbiamo leader che la mattina dicono una cosa e la sera l’opposto: basta avere un microfono davanti, che problema c’è? Ma sulla guerra non si può fare così

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Abbiamo leader che la mattina dicono una cosa e la sera l’opposto: basta avere un microfono davanti, che problema c’è? Ma sulla guerra non si può fare così

Se c’è qualcuno che ancora rimane a bocca aperta di fronte alle giravolte della politica italiana… beh, non gli resta che farsene una ragione. Non è bello a dirsi, ma peggio è nascondere la realtà. Abbiamo leader che la mattina dicono una cosa e la sera l’opposto: basta avere un microfono davanti, che problema c’è? Abbiamo un Parlamento dove una settimana si vota a larghissima maggioranza l’aumento delle spese militari portandole al 2% del Pil e quella successiva, oplà, come non detto: si smonta tutto e addirittura si minaccia una crisi di governo se si procede sulla linea appena decisa.

Ecco sulla guerra no, non si può fare così. Sulle armi che sparano, i cannoni che uccidono, i missili che devastano, i palazzi che bruciano e i più deboli che muoiono senza capire perché, beh su queste cose non sono ammessi ghirigori strumentali e pelosa infingardaggine. Sulla guerra bisogna essere schietti, lavorando senza soste per la pace e favorendo l’iniziativa diplomatica compresa quella più estrema, ma stabilendo da subito chi sono gli invasori e chi gli invasi, chi gli aggressori e chi gli aggrediti. E poi decidere con chi solidarizzare.

Nessuno sa quando i fucili e le mitragliatrici finalmente taceranno, e sarà sempre troppo tardi. Soprattutto nessuno può illudersi che, quando succederà, tutto tornerà come prima. C’è allora un dovere primario da rispettare: fare chiarezza. Senza che il mondo sia attraversato per anni dallo spartiacque se occorra o meno difendere lo Stato di diritto, i trattati e le regole internazionali, il ripudio delle autocrazie che usano il belletto lessicale per definirsi democrature e il rigetto delle ipocrisie del né-né. Per cui se nei Palazzi della politica c’è chi intende stare dalla parte di Putin e dei suoi metodi è obbligatorio che ufficializzi la sua posizione e si stabilisca se è maggioranza oppure no.

Ci sono partiti che rigettano la deterrenza e negano il rispetto degli impegni presi in sede Nato? Bene, che escano definitivamente allo scoperto e ci si conti. Se Giuseppe Conte minaccia la crisi presenti una mozione di sfiducia e vediamo che succede. Perché tutto possiamo permetterci tranne l’ambiguità su terreni e scelte delicatissime, destinate a mordere nella carne viva degli italiani.

Mario Draghi ha pronunciato parole inequivocabili sulla collocazione italiana nello scontro Russia-Ucraina e sull’atteggiamento da tenere in sede Ue e nei rapporti con gli Usa. Se ci sono forze nella maggioranza in disaccordo lo spieghino con chiarezza agli elettori. Evitando possibilmente le demagogie sul prezzo della benzina o sulle spese sociali. Se c’è chi vuole procedere disallineandosi dal resto dell’Europa e dell’Occidente – pensando di poter guidare l’Italia sul tracciato segnato da Mosca e Pyongyang – ha il dovere di esprimersi con sincerità verso gli italiani, assumendosene la responsabilità. Per decenni l’appartenenza atlantica ha reso off limits la stanza dei bottoni a chi la ripudiava. Per i nostalgici, c’è posto nei cinema d’essai; sui banchi del governo è più complicato.

di Carlo Fusi

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