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C’è chi si chiude alla vita eppure vive in mezzo a noi

Basta guardare a certe realtà degli Stati Uniti come San Francisco per capire che il tema degli homeless non è un problema solo italiano. Serve fare di più per restituire alla vita civile questi nostri concittadini.
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C’è chi si chiude alla vita eppure vive in mezzo a noi

Basta guardare a certe realtà degli Stati Uniti come San Francisco per capire che il tema degli homeless non è un problema solo italiano. Serve fare di più per restituire alla vita civile questi nostri concittadini.
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C’è chi si chiude alla vita eppure vive in mezzo a noi

Basta guardare a certe realtà degli Stati Uniti come San Francisco per capire che il tema degli homeless non è un problema solo italiano. Serve fare di più per restituire alla vita civile questi nostri concittadini.
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Basta guardare a certe realtà degli Stati Uniti come San Francisco per capire che il tema degli homeless non è un problema solo italiano. Serve fare di più per restituire alla vita civile questi nostri concittadini.
La macchina fila lungo uno dei sottopassi della stazione centrale di Milano, nel traffico non ancora impazzito dell’ora di punta. Il bambino diretto a scuola – nel suo mondo di granitiche certezze imperniate sulla famiglia, le maestre e la sua idea della realtà – rivolge una di quelle domande a cui nessuna mamma o papà al mondo potrà mai essere preparato. Guardando la sconfortante teoria di bivacchi, tende, ripari alla bell’e meglio dei senzatetto che trovano regolarmente rifugio in quei pochi metri coperti, chiede: «Ma poi questi signori per la colazione vanno al ristorante?». Mamma e papà non sanno bene che rispondere e optano per la verità, per quanto edulcorata. «No, piccolo, non hanno i soldi per il ristorante. In verità, non hanno i soldi per nulla». «E allora come fanno?». Già, allora come fanno? Fanno che in uno sfinente braccio di ferro con il personale del Comune vengono regolarmente sgomberati. Gli si offre loro un minimo di sistemazione in un dormitorio pubblico, ma la stragrande maggioranza appena può torna in quel sottopasso o in luoghi analoghi. Una fatica di Sisifo per l’amministrazione del capoluogo lombardo e di qualsiasi città medio-grande del nostro Paese e non solo. Sono donne e uomini che per i motivi più diversi sono finiti in strada. Il più delle volte è come se ormai si fossero ritirati dalla vita. La vedono scorrere come in un film, non ne fanno più parte. Anche a parti invertite, del resto: la stragrande maggioranza di noi ha fatto il callo allo ‘spettacolo’ e lo considera al più un inevitabile prezzo da pagare a un sistema che ha le sue pecche e non può pensare a tutti. Risposta non priva di ragioni, ma chiaramente di comodo, pur di non doversi costringere a guardare sul serio quelle persone. Tirano avanti (per così dire) a una manciata di metri dalla vita della città più luccicante e cara d’Italia. Il tema degli homeless non è certo una prerogativa milanese o italiana, anzi. Rispetto ad altri Paesi avanzati, abbiamo una rete protettiva decisamente più sviluppata, sia pubblica che privata. I numeri di chi finisce in uno stato di totale indigenza e si deve affidare esclusivamente all’assistenza per sopravvivere sono ben minori a quelli di Paesi anche più ‘ricchi’ del nostro. Il caso di scuola resta quello degli Stati Uniti d’America, che hanno un numero di senzatetto in grado di scioccare chi visiti alcune delle loro città più famose, senza essere preparato a questa realtà di emarginazione e disperazione. Il primo viaggio a San Francisco è straniante per chiunque, nel vedere il numero di homeless accampati in pieno centro. Gli Stati Uniti, del resto, hanno persino sviluppato il concetto di ‘città santuario’. Centri particolarmente tolleranti nei confronti dei senzatetto, come l’appena citata San Francisco. Tornando in Italia, la sfida è restituire alla vita civile questi nostri concittadini. Una vita, come già scritto, che spesso loro per primi rifiutano e finisce per rifiutarli. Un impegno che dovrebbe essere sentito pressante da tutti, non per pietismo o per il pur importante decoro urbano, ma perché è una battaglia di civiltà che vale la pena combattere. di Marco Sallustro

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