Quando Volodymyr Zelensky ricorda che i russi si aspettavano di vincere in cinque giorni e invece gli ucraini resistono da oltre 50, non si limita a fotografare la realtà (comunque tragica e moralmente insopportabile, per tutto quanto accaduto), ma sottolinea soprattutto il drammatico e pericolosissimo vicolo cieco in cui è andato a ficcarsi Vladimir Putin.
Un cul-de-sac, dal quale può uscire solo con una qualche forma di vittoria da sbandierare al proprio Paese, nel frattempo spinto a tempo di record verso la bancarotta (ieri l’ha ricordato anche l’Unione Europea, facendo significativamente imbufalire il vice Medvedev) e il disastro economico.
Una vittoria, il famigerato Dombass o quello che saprà riscrivere di volta in volta in base agli insuccessi militari, che nessun essere dotato di media intelligenza può credere gli ucraini siano disposti a concedere per placare la fame del dittatore. Nonostante le anime belle continuino a meravigliarsi, basterebbe provare a mettersi nei panni del Paese aggredito e pensare che cosa faremmo noi al posto loro. Tranne la rumorosa e purtroppo non così limitata minoranza di pacifisti unilaterali composta da professori sedicenti francescani, editorialisti orfani del comunismo e innamorati persi dell’ “uomo forte” di Mosca, combatteremmo per la nostra terra, i nostri cari e la nostra dignità.
Quindi, la guerra continuerà ancora e per unica responsabilità di chi ha aggredito – incredibile, ma siamo costretti a ricordarlo, vista l’insostenibile leggerezza di taluni – e ora si trova senza una strategia, se non continuare ad alzare la posta. Anche per non perdere la presa sulla sua vitale cricca di potere.
Così, checché ne dicano i volenterosi mediatori turchi, in questo momento alla diplomazia non resta spazio. Per il lampante motivo che colui all’origine di tutto non ha idea di come uscirne e semplicemente continua l’aggressione, aggravando la tragedia e le sue responsabilità, mentre il tempo lavora contro il futuro del suo stesso Paese.
di Fulvio Giuliani
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