Ci siamo messi a ragionare degli ambizioni obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, inevitabilmente riprendendo le polemiche sul nucleare. Abbiamo anche messo in evidenza che il futuro ragionevole prevede l’utilizzo di tutte le fonti in quel senso compatibili, essendo escluso che si possa, per strano principio o partito preso, rinunciare a qualcuna, anche considerando che il contributo dato da eolico e solare è stato sì crescente, ma non potrà, a tecnologia esistente, essere esaustivo.
Ci siamo, però, dimenticati di attirare l’attenzione su un punto, rilevante: in Italia siamo in ritardo anche rispetto ai modesti obiettivi che ci si era dati, in quanto a eolico e solare si sarebbero dovuti realizzare parchi che, nella realtà, non si sono fatti.
Se si è in ritardo su quel che era limitato, come si può sperare d’arrivare in tempo a quel che è decisamente più vasto? Prima di tutto chiedendosi quali siano le ragioni del ritardo. Temo nessuno si sorprenderà della risposta: la frammentazione di poteri e funzioni, che innesca complicazioni burocratiche. Tocca alle Regioni autorizzare l’installazione di questi impianti, rilasciando i relativi permessi, mentre i Comuni conservano poteri di veto sul territorio di loro competenza.
Più si scende verso Sud, più c’è sole da sfruttare, più s’incontrano amministrazioni che non funzionano.
E siccome i tempi che dividono la domanda dal suo accoglimento o respingimento, comunque dalla chiusura della pratica, sono fissati per legge, ne deriva che s’è aperto un nuovo cantiere produttivo di ricchezza, ma non relativo alla produzione d’energia, bensì di cause per il risarcimento dei danni dovuti a tempi non rispettati. E gli enti locali sono quelli che pagano, anziché essere quelli che incassano.Sarebbe saggio tornare indietro rispetto a questa frammentazione, riordinando integralmente il tritato istituzionale.
I cui guasti nella sanità non hanno neanche bisogno d’essere illustrati. Ma in attesa, restando al campo dell’energia, si potrebbe elaborare una pianificazione nazionale, mettendo in colonna la ripartizione per Regioni in relazione alle quantità reali di sole e vento (dati già esistenti) e pianificando la quantità di impianti che è necessario autorizzare per rispettare i vecchi obiettivi e magari, già che ci si trova, anche i nuovi. Dati spazi e bisogni, si organizzino delle aste, anziché la solita intermediazione a beneficio di ammanicati. Chi non ci riesce paghi pegno subendo vigilanza o commissariamento, piuttosto che pagar risarcimenti a imprese. Di Gaia CenolLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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