Il Pnrr rappresenta l’opportunità di rilancio per l’Italia ma, come ogni occasione, questa può essere sfruttata o sprecata. La filiera di amministratori locali è dunque chiamata a misurarsi su capacità e competenze.
Gli italiani ascoltano da mesi delle magnifiche sorti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per governo e presidenti di regioni del Sud si tratta della occasione per il rilancio. Come ogni opportunità, questa può essere sfruttata o sprecata con tutta la filiera di amministratori locali chiamata a misurarsi su capacità e competenze (virtù derubricate a dettaglio durante la sbornia populista, salvo poi doversi svegliare nella realtà perché scossi dallo shock pandemico).
«Il Pnrr ha un vincolo temporale di utilizzo di 5 anni. Non è un alibi, è un dato di fatto che deve tenere conto anche delle storiche difficoltà del Sud di assorbimento dei fondi pubblici»: così parlò il presidente del Consiglio. Sempre Draghi ha spiegato dell’impegno necessario di tutti «per portare l’Italia su un percorso di crescita inclusiva che migliori la mobilità sociale e consenta la piena realizzazione professionale dei giovani e delle donne, soprattutto al Sud». E non a caso il tema della formazione qualificata è dirimente: agli Istituti tecnici superiori italiani si iscrivono 20mila giovani all’anno, mentre in Germania le scuole post diploma ne preparano 800mila.
Nel rapporto “Conti economici territoriali anni 2017-19”, l’Istituto nazionale di statistica indica come in Lombardia il reddito pro capite sia di 39.700 euro mentre la media del Sud si ferma a 19mila euro.
Per superare le disparità che condannano milioni di cittadini a servizi pubblici inadeguati, infrastrutture lacunose e a godere di minori opportunità di crescita e affermazione professionale, l’occasione dei fondi che il Pnrr offre è straordinaria, letteralmente fuori dall’ordinario anche con l’aggravio di debito sulle generazioni future. Per i territori del Sud che viviamo (chi scrive è salernitano) sarà anche un esame culturale per superare ciò che costituisce il male antico del Meridione: incolpare gli altri del suo mancato sviluppo.
Chi vuole un Sud diverso deve allora pretendere che questo abbia più responsabilità e meno paternalismo: qui le classi dirigenti saranno all’altezza?
Il Ministero per il Sud ha costituito una commissione interministeriale per rendere più semplici e veloci le procedure per le imprese attive nel Mezzogiorno. Sarà un’impresa ardua realizzare le opere previste senza una sburocratizzazione nelle procedure e senza rigenerare il personale nella Pubblica amministrazione, puntando su competenze manageriali, digitali e tecniche. Per intenderci, è di pochi giorni fa la notizia per cui nessuno dei 31 progetti di investimento presentati dai consorzi ed enti siciliani ha intercettato i criteri previsti per la selezione dei progetti irrigui sul Pnrr. Nel prossimo decennio arriveranno al Sud oltre 213 miliardi di euro. Il conto è presto fatto: ai circa 82 miliardi dei fondi Pnrr vanno aggiunti 54 miliardi dei fondi Sie, 8,4 miliardi dalle risorse europee per la ripresa come React-Eu, 58 miliardi di risorse della politica di coesione nazionale e 10,6 miliardi da altri interventi europei e nazionali. Guardando alla storia, però, i soldi pubblici sono stati troppo spesso il problema e non la soluzione: chi pensa ancora di risolvere la crisi del Mezzogiorno ricorrendo ai vecchi vizi che l’hanno causata? I soldi nel Sud sono arrivati a tonnellate, distribuiti nelle forme più assistenziali e clientelari possibili, ostacolando la nascita di mercati meritocratici e disabituando le persone al rischio di impresa, alla fatica e al gusto del lavoro. Di Antonluca CuocoLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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