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Spaccarci

Nel Maggio 2002, sotto gli occhi di Silvio Berlusconi, Nato e Russia firmano un patto di collaborazione. È da allora che ha avuto inizio il disegno zarista del Presidente russo Vladimir Putin.
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Nel Maggio 2002, sotto gli occhi di Silvio Berlusconi, Nato e Russia firmano un patto di collaborazione. È da allora che ha avuto inizio il disegno zarista del Presidente russo Vladimir Putin.
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Nel Maggio 2002, sotto gli occhi di Silvio Berlusconi, Nato e Russia firmano un patto di collaborazione. È da allora che ha avuto inizio il disegno zarista del Presidente russo Vladimir Putin.
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Nel Maggio 2002, sotto gli occhi di Silvio Berlusconi, Nato e Russia firmano un patto di collaborazione. È da allora che ha avuto inizio il disegno zarista del Presidente russo Vladimir Putin.
Questa è una storia che parte da lontano e dall’Italia. Maggio 2002, a Pratica di Mare, sotto gli occhi di un raggiante Silvio Berlusconi, Nato e Russia firmano un patto di collaborazione. È la foto di gruppo – il presidente del Consiglio fra Vladimir Putin alla sua destra e George W. Bush alla sinistra – grazie alla quale Berlusconi ha più volte ripetuto di essere l’uomo che fece «terminare la Guerra fredda». Una dichiarazione che in Italia ha suscitato eufemisticamente qualche perplessità, ma che Putin deve aver ascoltato con attenzione. A capo di un Paese precipitato nel giro di un pugno di anni dal rango di superpotenza a colosso sbandato, il giovane presidente russo forse cominciò a disegnare allora, con pazienza e lungimiranza, il suo progetto. E se l’amico Silvio avesse avuto ragione? Magari si poteva anche far credere agli occidentali che la Guerra fredda potesse finire con un riconoscimento russo dei grandi vincitori dell’era dei blocchi, gli Usa e i loro alleati. L’epoca in cui le divisioni interne agli schieramenti non erano ammissibili, si stava da questa o dall’altra parte del Muro. Altrimenti arrivavano i carri armati di Budapest e Praga. Quest’uomo intelligente e glaciale, frutto di una delle scuole di potere più efficienti e spietate della Storia – l’accademia che formava i quadri dei servizi segreti sovietici – deve aver pensato che superare del tutto quella maledetta Guerra fredda non dovesse essere poi così male. Perché in un mondo diverso, fidando del naturale ottimismo occidentale e della tendenza delle democrazie a sopravalutare la propria forza di attrazione per altri modelli di potere, si aprivano praterie davanti alla sua Russia. Per occuparle bisognava lavorare con pazienza certosina, costruendo relazioni, legando a sé determinati Paesi, usando e aggiornando le armi che già ai tempi dell’Urss servivano a confondere le acque nel campo avversario. Vladimir Putin, nel suo lunghissimo esercizio del potere, ha prima stabilizzato il fronte interno senza alcuna pietà per gli oppositori e senza scrupolo per quell’embrione di regole democratiche che la Russia aveva provato a darsi per la prima volta. Come ogni bravo autocrate che si rispetti e abbia avuto un ruolo nella Storia, questo è il passaggio fondamentale per coprirsi le spalle e cominciare a lavorare sul fronte internazionale. Il presidente russo, di fatto disinteressato alla costruzione di un sistema economico solido e avanzato (in questo le differenze con la Cina sono colossali), ha puntato tutto sulle enormi ricchezze del sottosuolo del Paese, per inondare di gas l’Occidente e garantire ricchezze sconfinate all’oligarchia che gestisce il patrimonio di materie prime. In cambio di appoggio totale, s’intende. Ha trovato clienti interessatissimi, a cominciare dalla Germania. Putin ha reso la principale economia europea di fatto dipendente dai propri approvvigionamenti, pescando anche un ex cancelliere più che disposto a lavorare per lui. Oggettivamente, un capolavoro strategico. Ci siamo anche noi italiani, meno dei tedeschi, ma importiamo il 40% di gas dalla Russia e soprattutto abbiamo un pezzo di politica che si è docilmente lasciato affascinare dalla retorica dell’uomo forte venuto dall’Est. Da contrapporre ai noiosi leader occidentali, costretti a soggiacere agli equilibri fra poteri, invece che rivolgersi direttamente al “popolo”. È accaduto a casa nostra e ricordiamolo per bene, in questi giorni drammatici. Con il nemico di sempre, gli Usa, Putin – lo dicono gli americani, non qualche scrittore di fantapolitica – è riuscito ad avere voce in capitolo direttamente in un’elezione presidenziale. Siamo onesti: ha realizzato il sogno supremo dei suoi vecchi maestri del Kgb. L’Ucraina, se avrete avuto la pazienza di leggere sin qui, non vi apparirà più solo una mano di poker. L’azzardo c’è, ma è solo l’approdo di un progetto a lunghissimo termine, che mira a un chiaro obiettivo strategico: dividere l’Occidente. E un Occidente diviso sarebbe un Occidente debole, in cui la forza di attrazione della Russia crescerebbe a dismisura. Il disegno zarista di Putin.   Di Fulvio Giuliani

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