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Sveglia digitale

L’acquisizione da parte di Microsoft della software house californiana Activision per ben 70 miliardi di dollari ha colpito l’immaginario della stampa mondiale. Il mondo dell’impresa e della finanza, invece, continua a fare fatica a comprendere il fenomeno.
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L’acquisizione da parte di Microsoft della software house californiana Activision per ben 70 miliardi di dollari ha colpito l’immaginario della stampa mondiale. Il mondo dell’impresa e della finanza, invece, continua a fare fatica a comprendere il fenomeno.
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L’acquisizione da parte di Microsoft della software house californiana Activision per ben 70 miliardi di dollari ha colpito l’immaginario della stampa mondiale. Il mondo dell’impresa e della finanza, invece, continua a fare fatica a comprendere il fenomeno.
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L’acquisizione da parte di Microsoft della software house californiana Activision per ben 70 miliardi di dollari ha colpito l’immaginario della stampa mondiale. Il mondo dell’impresa e della finanza, invece, continua a fare fatica a comprendere il fenomeno.
L’acquisizione da parte di Microsoft della software house californiana Activision, a sua volta a capo di una galassia di sigle di grande rilievo nel mondo dei videogame, ha colpito l’immaginario della stampa mondiale. Lo ha fatto per la cifra siderale messa sul tavolo dalla casa di Redmond che, pur di assicurarsi il catalogo Activision per la propria piattaforma di videogaming Xbox, si è impegnata a sborsare 70 miliardi di dollari. Nelle pagine interne leggete nello specifico il senso dell’operazione. Qui esploriamo altri aspetti. Tanto per cominciare – come scrivevamo ieri – aziende come Microsoft, Apple, Google e così via hanno una tale liquidità da generare un mercato tutto loro, in cui le regole del business vengono reinventate in base ai loro interessi.

Stiamo parlando di concorrenza e di interi settori produttivi, non certo del destino personale di Bill Gates o Tim Cook.

Torniamo all’affaire Microsoft-Activision: per una volta, non solo il piccolo mercato italiano ha sgranato gli occhi, se è vero che il “Financial Times” ha dedicato l’apertura (addirittura) al colpo di Redmond. È come se l’industria dell’entertainment più redditizia al mondo – i videogame stracciano la somma di ricavi di cinema e musica – continui a scontare bias. Il mondo dell’impresa e della finanza continua a fare fatica a comprendere il fenomeno. In Italia, poi, per motivi misteriosi ci siamo cuciti addosso un ruolo quasi esclusivo di clienti e utilizzatori, magari frenetici. Non di imprenditori del settore. Il tutto è irrazionale, se pensiamo quanto in settori assimilabili e dominati dalla creatività, come il cinema o le arti espressive, il nostro Paese sappia sempre recitare un ruolo importante.

Nell’intrattenimento videoludico e in generale nell’universo digitale ci accontentiamo invece di un ruolo subalterno.

Come nel recente caso dell’accordo fra il Ministero della Pubblica amministrazione e LinkedIn (guardacaso di proprietà della stessa Microsoft). Sinergia interessante, per carità, ma in cui l’apporto nostrano in termini di tecnologia proprietaria appare trascurabile. È solo l’ultimo capitolo di una ritirata progressiva che non ha mai avuto nulla di strategico.

Dall’informatica siamo completamente usciti, dopo essere stati dei pionieri con la straordinaria avventura di Olivetti.

Nella telefonia siamo stati innovatori – l’allora Telecom Italia era un gioiello – per rinunciare a un ruolo attivo e trasformarci in utenti compulsivi come pochi. Quanto al mondo delle software house, vantiamo piccole e piccolissime realtà anche di ottimo livello, ma incapaci di competere a livello internazionale. I fondi stanziati dal governo per le start-up nel settore videogame sono andati esauriti in quattro ore (!), sintomo che materiale umano ce ne sarebbe, ma non abbiamo una strategia. Del resto, facciamo pochissima formazione in materia, ci riempiamo la bocca di svolte e rivoluzioni digitali ma nel concreto combiniamo poco. A scuola resta una realtà inesplorata. A livello universitario si fa fatica – torniamo ai bias – a riconoscere dignità a corsi che si occupino di entertainment videoludico. In più, siamo un Paese dal costo del lavoro spesso insostenibile. Così i giganti del settore trovano naturale investire nell’Est Europa, dove abbonda forza lavoro formata e accessibile, e non certo creare studi satelliti da noi. Come si vede, il tema va ben oltre Microsoft e Activision. Un ultimo esempio: obiettivo ultimo di Xbox non è vendere giochi ma abbonamenti alla piattaforma cloud (punto di forza strategico di Microsoft), in cui far giocare decine di milioni di persone da tutto il mondo che pagano una fee per avere a disposizione tutti i titoli che vogliano. Microsoft se li produce in casa, attraverso le software house acquisite, li mette a disposizione online e le fa pagare relativamente ‘poco’. Il cerchio si chiude e il gioco miliardario è fatto. Con tanti saluti alla concorrenza che presto sarà solo Sony, attraverso PlayStation e con gli stessi meccanismi. In questa partita fra titani noi dove siamo? Facciamo quelli che pagano.   Di Fulvio Giuliani

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