Dopo le incertezze iniziali Mosca ha modificato la propria tattica, tornando all’antico della scuola sovietica e alla pioggia di fuoco d’artiglieria sulle città. Senza più distinzione tra obiettivi militari ed obiettivi civili.
A partire da oggi, martedì 3 marzo, La Ragione ospiterà commenti e interviste a cura del Centro Studi Internazionali (CeSi), l’istituto di analisi di politica internazionale diretto dal Presidente, Andrea Margelletti.
Primo di una serie di contenuti che seguiranno nei prossimi giorni, nel numero di oggi, l’articolo a firma di Marco Di Liddo, Senior Analyst del CeSi, sull’andamento del conflitto suo terreno.
“Proščanie Slavjanki” o “L’addio della Slava” è una delle canzoni di guerra russe più famose della storia. Scritta nel 1912, parla dell’addio dei soldati russi alle loro mogli prima di partire per la Prima guerra balcanica. Negli anni successivi, la canzone diventò un manifesto dello sforzo militare sovietico contro la Germania nazista e, dal 1967, include una versione che fa riferimento alla resistenza di Mosca e alla presa di Berlino da parte dei sovietici nella Seconda guerra mondiale.
“L’addio della Slava” è un patrimonio di tutti i popoli che fecero parte dell’Urss, non solo dei russi. Il sacrificio nella Seconda guerra mondiale fu anche di ucraini, bielorussi e kazaki e, per questo, non ci sarebbe da scandalizzarsi se qualche ucraino cantasse quella canzone mentre saluta la propria famiglia per proteggere la madrepatria dall’invasore russo in un rovesciamento delle narrative e delle tradizioni quasi sconvolgente.
Tuttavia, al di là dei richiami evocativi nei confronti di un popolo e di un Paese che si difende contro un vicino molto più grande e potente, l’inerzia della guerra continua lentamente a cambiare. Infatti, dopo le incertezze iniziali, Mosca ha modificato la propria tattica, tornando all’antico della scuola sovietica e alla pioggia di fuoco d’artiglieria sulle città, senza più distinzione tra obbiettivi militari ed obbiettivi civili e con sempre più preoccupante coinvolgimento della popolazione non combattente.
Tale mutamento ha aumentato la pressione sui primi centri strategici e ha aperto le porte alla penetrazione russa a Kherson e Mariupol, due delle principali città del fronte Sud che, qualora conquistate, garantirebbero il controllo su infrastrutture critiche e sulla costa orientale ucraina sul Mar Nero nonché sulla totalità del Mare d’Azov.
La presa di Kherson e Mariupol, soprattutto se paragonata allo stallo del fronte orientale di Kharkiv e del fronte Nord di Kiev, potrebbe rappresentare il primo punto di svolta della guerra. Si tratterebbe infatti dei primi due veri successi della campagna militare russa: due conquiste in grado di innalzare il morale dei russi e colpire quello degli ucraini; due città per migliorare la propria logistica, dimostratasi sinora non eccelsa. Inoltre Mosca avrebbe qualche carta in più da giocare nel negoziato con Kiev, al contrario dei colloqui di tre giorni fa in cui i russi arrivavano al tavolo con molti proclami ma poco altro.
In ogni caso, la precarietà della situazione sul campo non permette di covare speranze concrete nei risultati dei colloqui. Al momento, sarebbe già un miracolo arrivare a un cessate il fuoco per alleviare le sofferenze della popolazione e, contestualmente, permettere agli eserciti di riorganizzarsi. Tuttavia, sarebbe una vittoria di Pirro poiché la pochezza dei contenuti politici e la scarsa volontà di giungere a un compromesso rischiano di trasformare il sospiro di sollievo del cessate il fuoco in un preoccupato ansimare per la ripresa, ancor più violenta, dei combattimenti.
Di Marco di Liddo
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