All’orizzonte dell’ambiente più che i Verdi si vedono i Verdoni. Il frusciante in dollari e in banconote da 100 euro. Tanta abbondanza di Verdoni e tanto scarseggiare di Verdi, di quei partiti che improntarono all’ambientalismo il loro programma, segnalano di cosa stiamo parlando: l’affare del secolo. Poi, per carità, chi voglia appassionarsi alla retorica, pro o contro, per l’apocalisse o per la montatura, può ben farlo, ma è fuori tema.
Parliamo tutti di energia né potrebbe essere diversamente. Ma non è il solo tema. L’energia tratta da fonte rinnovabile, nel mondo, dopo anni d’investimenti massicci, resta una piccola percentuale.
L’ipotesi che sia non diciamo totale, ma anche solo dominante, da qui al 2050, è pari a zero. Certo che si deve spingerla, ma non si può puntare solo su quella. E già qui s’incontra la prima voragine che ha inghiottito un certo ambientalismo: gli avversari delle rinnovabili non sono i petrolieri, ma gli ambientalisti. Provate a realizzare parchi eolici o solari e ve ne farete un’idea. Per non dire di termovalorizzatori o impianti di riciclaggio. I Verdoni non mancano, di incentivi ne sono stati dati tantissimi, ma di realizzazioni ce ne sono meno dell’auspicabile, anche per verde avversione. Sul piano dell’energia, quindi, si deve pensare a cosa avere quando non si potrà (prima) più investire e (poi) emettere Co2. E siccome fra le risposte c’è l’energia nucleare, ecco che i Verdi insorgono. Mentre i governi, compreso il nostro, hanno trovato il nuovo abracadabra: «Attendiamo la tassonomia europea». Attendano, ma se la Francia non è in procinto di uscire dall’Unione europea, e non lo è di certo, in quella ci troveranno il nucleare. Che è anche un bene per l’Italia, visto che stiamo costruendo centrali di quel tipo fuori dai confini. Sarebbe saggio dirlo.Ma non c’è solo l’energia, perché i Verdoni si dirigono copiosi laddove s’investe per diminuire il consumo dell’ambiente, quindi, ad esempio, coltivazioni che consumino meno terra, meno acqua e abbisognino di meno pesticidi.
Anche qui sarebbe saggio dirlo: si tratta di verdissime piante ingegneristicamente adattate. Cosa che il genere umano fa da millenni e che ora sappiamo fare in modo più efficiente e veloce non fra le zolle, ma in laboratorio. Questa gara alla ricchezza la vince chi farà più innovazione e più ricerca. Anche questi sono settori più da Verdoni che da Verdi. Si dice che una simile sfida non possa essere vinta se ai Verdoni pubblici non si uniscono i Verdoni privati, con investimenti e produzioni. È vero, ma dietro questa ovvietà si cela un altro problema, grosso: se non vogliamo costruire una specie di socialismo reale ambientale – dove il dirigismo prende il posto della libera impresa, dove la competizione si sposta dal mercato allo confronto fra Stati, che porta malissimo e restringe paurosamente la libertà dei consumatori, dei cittadini – serve concorrenza fra imprese private. Questo è l’ottimo motivo per cui non si può fare a meno del loro concorso, altrimenti tocca andare a frequentare i master in Cina (non a caso, al di là delle chiacchiere, un Paese che a tutta questa roba fa molta attenzione e che rifornisce di pannelli solari i verdeggianti d’altre lande). Tutto ciò dice che è il mondo produttivo, non quello letterario, a doverci mettere la testa, ma dice anche che come sono sorti movimenti ambientalisti di stampo catastrofista ci saranno anche i catastrofisti anti ambientalismo catastrofista. Un giro addietro uno di loro giunse alla Casa Bianca. Non mancherà chi è pronto a sostenere che un posto di lavoro oggi vale più di una promessa bucolica domani. Avrà capito poco, ma ha capito meno chi pensa che tutto questo s’agiti innescato dai Verdi, laddove a irrigare quei campi sono i Verdoni. E confesso che mi piacciono, i Verdoni. Di Davide GiacaloneLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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