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“Il vero successo è essere a Cannes”, parla l’Ad di Rai Cinema

Intervista a Paolo Del Brocco, Amministratore delegato di Rai Cinema che ha coprodotto tutti e tre i titoli italiani in concorso per il Festival di Cannes
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Troix deux un. Conto alla rovescia per l’inizio dei giochi (senza frontiere) del cinema italiano a Cannes. Si tratta di uno squadrone, per la Palma d’Oro. In ordine di apparizione: Marco Bellocchio con «Rapito» (stasera), Nanni Moretti con «Il sol dell’avvenire» (domani), Alice Rohrwacher porta «La chimera» in gara giovedì. Il cinema, l’arte, non dovrebbe avere confini. Ma un po’ di tifo è naturale. Non si vince il primo premio dal 2001, con «La stanza del figlio» di Moretti. A guidare la nazionale c’è un brillante commissario tecnico. Paolo Del Brocco è Amministratore delegato di Rai Cinema, che coproduce tutti e tre i titoli tricolore. Negli stessi giorni in cui per il piccolo schermo regna il caos, la divisione cinema del servizio pubblico affronta da protagonista «un campionato del mondo. Per noi è una settimana impegnativa, in cui però il cinema italiano starà sui giornali di tutto il mondo» commenta Del Brocco. Ancora in tenuta casual, prima di inossare lo smoking d’ordinanza. Per non levarselo (quasi) più, da qui alle battute finali del festival. Occhio a non macchiarlo. Come si sente, dottor Del Brocco? «Sono contento. Noi di Rai Cinema, che coproduciamo i tre film in concorso e li distribuiamo nelle sale italiane, abbiamo raggiunto il nostro livello massimo. Prima di quest’anno, mai c’erano stati tre titoli di nostra produzione nel concorso principale. Inoltre, mi faccia aggiungere …». Prego … «C’è tanto orgoglio, anche per il nostro ruolo di industria culturale. I tre film sono distantissimi fra loro e portano la firma di autori importanti, che appartengono a diverse generazioni. È una ulteriore conferma per la bontà del lavoro di Rai Cinema, per le scelte fatte e per il supporto che abbiamo deciso di dare a questi grandi artisti». Bellocchio affronta il caso Edgardo Mortara, che anche Spielberg avrebbe voluto raccontare. Moretti riflette su ciò in cui crede – o in cui non crede più –, cinema compreso. Rohrwacher ambienta la sua opera negli Ottanta, fra i tombaroli italiani e un misterioso archeologo inglese. «Bellocchio resta sempre Bellocchio. Negli ultimi anni però, «Il traditore» ne è un esempio, si sta spostando verso un cinema più popolare. Uso questo termine – “popolare” – non certo in senso dispregiativo. L’intenzione è quella di raccontare grandi storie, sempre con la cifra del grande autore, per incontrare un pubblico il più ampio possibile. Lo stesso Moretti ha voluto allargare i propri confini e “Il sol dell’avvenire” sta andando benissimo (al momento, punta ai 4milioni di incasso al botteghino ndr.). Alice Rohrwacher mantiene una cifra particolare e delicata. Oggi è una delle registe più conosciute al mondo». La giuria del concorso, presieduta dal regista svedese Ruben Östlund, è stata definita «inattesa e sorprendente». Di certo è molto giovane. Soltanto un giurato su nove supera i cinquant’ anni (lo scrittore e cineasta afghano Atiq Rahimi). Si è fatto un’idea di come i nostri film potranno essere accolti? «Non conosco i gusti dei giurati e come potrà essere il loro approccio a un cinema più classico – chiamiamolo così – come è il nostro. In particolare, questo vare per i lavori di Bellocchio e Moretti. Sulla carta sì, potremmo risentirne. Ma chi può dirlo? Le giurie restano imperscrutabili». Vincere non è un’ossessione? «Le vittorie ai festival fanno piacere, certo. Sono però frutto di tanti fattori. Il vero successo è essere a Cannes con tre film, tutti in gara per la Palma d’oro. In altre edizioni Rai Cinema è arrivata a 6-7 titoli, sparsi per varie sezioni. Firmerei a vita per averne in concorso anche soltanto due, ogni anno». Di Federico Fumagalli, direttamente da Cannes

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