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Jazz e algoritmo, parla Maria Chiara Argirò

Maria Chiara Argirò è una delle artiste più̀ promettenti del panorama nu jazz. Parliamo con lei di algoritmo e salute mentale tra gli artisti

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Maria Chiara Argirò è una delle artiste più̀ promettenti del panorama nu jazz, tra le poche donne di un genere considerato fino a non molto tempo fa “la musica della vecchia generazione”. È in uscita il suo quinto album “Closer”, che verrà presentato con un tour tra Milano (domani all’Apollo Club), Bologna e Roma. «Scrivere questo lavoro è stata un’esperienza abbastanza surreale: è un album che ha avuto proprio l’esigenza di essere scritto, una di quelle situazioni che capitano davvero di rado a un’artista» ci racconta.

Romana di nascita e londinese d’azione, grazie alla madre insegnante di danza inizia a suonare il pianoforte classico all’età̀ di nove anni. Poi lo shock: durante l’adolescenza scopre il jazz «ed è diventata un’ossessione» – spiega lei stessa – capace di mettere in crisi i suoi rigidi canoni classici, che iniziano così a fondersi con le note di Miles Davis e Herbie Hancock. Argirò inizia a sviluppare una sua personalità musicale che la porta a Londra, la città dove la musica trova il suo spazio naturale. «L’apertura con l’Italia è avvenuta con “Forest City”, il precedente album del 2022. Ed è accaduta in modo molto puro, senza che facessi nessuna operazione di marketing. Questo mi ha colpito profondamente perché, per quanto viva a Londra ormai da tantissimi anni, le mie radici sono e saranno sempre nel Paese dove sono nata» sottolinea. Ricorda i suoi ultimi anni romani in cui ha avuto troppo spesso la sensazione di essere «una mosca bianca nel panorama jazz» e di essersi sentita «sempre accerchiata da uomini».

Ma la sua non è una tipica storia di ‘cervello in fuga’: «Non sono scappata dall’Italia. Sono partita per studiare (prima una laurea alla Middlesex University e poi il London Centre of Contemporary Music) e sono rimasta a Londra per la musica, che qui è come una bomba atomica». Anche oltreconfine sono presenti però le stesse dinamiche che stanno scuotendo il mercato musicale: un algoritmo impietoso nei confronti dei nuovi artisti e generi, la corsa alla visualizzazione sfrenata, una scarsa attenzione alla salute mentale degli artisti (in Italia abbiamo avuto i casi di Sangiovanni e Mr. Rain): «Sì, l’algoritmo ha rovinato un po’ tutti gli artisti. I tempi che viviamo sono veramente ostici, tra streaming e giochi dell’industria musicale. Sono meccanismi a cui penso sempre quando li subisco. Però sono anche convinta che si è arrivati a un punto di rottura e il fatto che gli artisti ne parlino non può̀ che essere un bene» confessa Argirò.

È importante coinvolgere nel processo di cambiamento tutti, dagli addetti ai lavori agli ascoltatori finali: «Nel mio piccolo sono un’attivista: anche con le persone che non fanno musica parlo tanto dell’importanza di acquistare i dischi e andare ai live show, piuttosto che limitarsi a un ascolto passivo sulle piattaforme di streaming». Un cambiamento che può coinvolgere anche i giornalisti: «Ad esempio tutti mi chiedono: “Quale sarà il tuo prossimo progetto?”. Si pensa sempre al futuro e mai al presente e questo pesa sulla salute mentale di un artista. Io invece voglio concentrarmi sul ‘qui e ora’ e godermelo. È l’unico modo per fare musica che conosco».

di Raffaela Mercurio

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