app-menu Social mobile

Skip to main content
Scarica e leggi gratis su app

“Sbagliato inseguire il pubblico”, parla Paolo Genovese

Con il numero record di 25 remake e ora l’adattamento teatrale, “Perfetti sconosciuti” rappresenta lo zenit del cinema di Genovese

|

Il cortometraggio spesso rappresenta il punto di partenza per i giovani registi, un territorio in cui è possibile osare e sperimentare. Lo sa bene Paolo Genovese, il cui esordio nella settima arte risale al 1996 con il corto “Incantesimo napoletano” cui seguì “Piccole cose di valore non quantificabile” (entrambi diretti insieme a Luca Miniero). Proprio quest’ultimo è tra gli eventi della 19esima edizione del festival “Cortinametraggio”, fondato da Maddalena Mayneri. «Ho ricordi molto emozionanti quando ripenso a quel film» ci racconta Genovese. «Oggi è tutto molto diverso, per fare un corto basta un cellulare. È un formato che ti dà una totale libertà di espressione, secondo me bisognerebbe tornare a quella dimensione in cui ti preoccupi soltanto di andare all’essenza. E poi c’è un altro aspetto da sottolineare: nell’era di un pubblico soprattutto ‘virtuale’ delle piattaforme, con i corti nei hai uno prevalentemente in carne e ossa, che è un po’ il vero senso del nostro mestiere».

Nel corso della sua carriera Genovese ha lanciato decine di giovani, puntando senza remore sulle nuove generazioni. Ma il panorama è molto articolato, ricco di sfide e di criticità per chi sogna di fare cinema: «Le possibilità si sono moltiplicate anche grazie all’avvento delle piattaforme e alla sempre maggiore richiesta di audiovisivo. Ma allo stesso tempo si sono delineate delle idee fin troppo precise. Mi riferisco alpubblico, a cosa piace e cosa no. Messa così è un’impostazione molto scientifica, pensiamo per esempio al tanto temuto algoritmo». Ma il cinema non è una scienza esatta, è un’arte: «Sono dell’idea che vada mantenuta una libertà espressiva assoluta, senza troppi condizionamenti di mercato. Considero la ricerca a tutti i costi di ciò che piace al pubblico come una chimera irraggiungibile» osserva. Tra successi al botteghino e flop fragorosi, il cinema italiano vive sulle montagne russe. Negli ultimi mesi si è parlato a lungo del dossier finanziamenti, con la stretta sancita dal ministro Gennaro Sangiuliano. Una decisione legata indissolubilmente ai tanti lungometraggi che hanno ottenuto migliaia di euro, salvo poi incassare le briciole. Genovese ha le idee chiare, lo svincolamento dalla logica commerciale è fondamentale ma i finanziamenti devono essere mirati: «Il cinema italiano è in piena occupazione e questo è un dato importante perché non era mai accaduto. I finanziamenti hanno contribuito a questo risultato, ma oltre al dato quantitativo ce ne deve essere uno qualitativo: mi riferisco alla possibilità di film nuovi, sperimentali, opere prime. Il ritorno economico non può rappresentare l’unico criterio quando si parla di cinema e di arte, ma il discorso sui finanziamenti non può nemmeno essere completamente slegato dal mercato e dall’industria».

Con il numero record di 25 remake e ora l’adattamento teatrale (fino al 24 marzo al Teatro Manzoni di Milano), “Perfetti sconosciuti” rappresenta lo zenit del cinema di Genovese. Un film sulla carta complesso («È lungo due ore ed è girato tutto in interni, attorno a un tavolo») campione di incassi in Italia e trionfatore all’estero: «Era un’idea ancorata alla realtà di quel momento, aveva un legame sociale importante perché il telefono, ma più in generale Internet, stava cominciando a stravolgere le nostre vite. In quella fase c’era bisogno di parlare di questo tema. La stessa cosa è successa ad altri film, come “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi: in quest’epoca si avvertiva l’urgenza di affrontare il tema della violenza sulle donne». Un altro pregio di “Perfetti sconosciuti” – e più in generale del cinema di Genovese – è la sfida al politicamente corretto: «L’arte può e deve esprimersi al di fuori delle regole. Deve essere libera, provocatoria, esagerata. Solo in questo modo può indurre riflessioni profonde: se ha dei limiti, finisce il suo senso. L’unico limite deve essere la coscienza dell’autore».

Di Massimo Balsamo

La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

LEGGI GRATIS La Ragione

GUARDA i nostri video

ASCOLTA i nostri podcast

REGISTRATI / ACCEDI