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Shirin Neshat, l’arte è la voce dell’Iran

Dal Festival del Cinema di Venezia Shirin Neshat, voce calda e politica dell’Iran, si racconta tra attivismo, passato e futuro
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Shirin Neshat, per brevità chiamata artista, è anche la (bellissima) voce più calda e politica dell’Iran. E ne è consapevole. «Non vorrei essere ricordata soltanto per quello. Il mio lavoro parla di arte, di cinema. A mio modo penso però di avere contribuito alla causa del mio Paese. Anche se da fuori». Da molti anni in esilio, Neshat è di casa a New York: «Ma nelle mie emozioni io mi sento pienamente iraniana. E sono orgogliosa di esserlo». I suoi successi professionali (le identitarie fotografie in bianco e nero, che ritraggono corpi coperti da scritte; il suo cinema raro, onirico e personalissimo) l’hanno ‘prestata’ al mondo.

Venezia è prima nella lista delle città che ne hanno rivelato il talento. «Mi commuove pensare a come mi abbia lanciata» ammette Neshat. «Nel 1999 ho partecipato alla Biennale Arte con un progetto che mi ha dato forte notorietà (la video installazione “Turbolent” premiata con il Leone d’oro, ndr.). Dieci anni più tardi il mio film “Donne senza uomini” ha vinto il Leone d’argento per la migliore regia alla Mostra del Cinema». Ora arriva un altro riconoscimento veneziano. Il premio “Le vie dell’immagine” le è stato assegnato, in collaborazione con le Giornate degli Autori, da Cinematografo e da Naba – Nuova Accademia di Belle Arti. «Un onore davvero incredibile, che non sento di meritare. Sono felice di essermi potuta confrontare con giovani che studiano arte e appartengono al mondo da cui anche io provengo».

L’80esima edizione della Mostra si sta facendo notare anche per i suoi ‘motivi politici’. Come lo sciopero degli attori americani, la protesta femminista, il dibattito sugli attori stranieri chiamati a interpretare personaggi italiani. Con l’onore mediatico della passerella sul tappeto rosso e della partecipazione di personalità – fra cui il direttore Alberto Barbera, la madrina Caterina Murino, il presidente di giuria Damien Chazelle – si è tenuto un flash mob per esprimere solidarietà al popolo iraniano. «Avrei dovuto sfilare anche io» dice Neshat. «Purtroppo ho tardato e l’ho mancato per pochi minuti. Anche se non mi sento così a mio agio nel mostrarmi pubblicamente a protestare, credo che gli iraniani costretti in patria vedano molto positivamente queste manifestazioni di sostegno. Nel Paese la situazione è davvero terribile». Neshat puntualizza: «Il valore simbolico di queste iniziative è forte, pur non essendo in grado di portare a un vero cambiamento. Alla Mostra del Cinema la gente va alla ricerca delle star meglio vestite e le questioni politiche si dimenticano presto. Il flash mob è comunque stato un modo eccellente per dire che la fatica – la rivoluzione, se così la si preferisce chiamare – continua».

Nel 2022 in concorso nei due più grandi festival di cinema al mondo c’erano Jafar Panahi (a Venezia con “Gli orsi non esistono”) e Saeed Roustaee (a Cannes con “Leila e i suoi fratelli”). Se il primo è stato liberato lo scorso febbraio, il secondo è stato da poco condannato a scontare sei mesi in prigione. «La realtà è questa» conclude Neshat. «Alcuni dei nostri più bravi registi sono dietro le sbarre. E molti fra i più talentuosi attori hanno dovuto abbandonare l’Iran, data la situazione attuale del Paese».

di Federico Fumagalli 

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