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Il “respiro vulcanico” ai Campi Flegrei. Il Vesuvio fa paura?

Il “respiro vulcanico” ai Campi Flegrei. Le parole di Mauro Di Vito, direttore dell’Osservatorio vesuviano. La terra continua a tremare in Campania
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Una scossa di terremoto di magnitudo 4.0 è stata avvertita – poco dopo le 22:00 – a Napoli con epicentro i Campi Flegrei. La terra continua a tremare in Campania. Una delle ultime scosse, di magnitudo 4.2 della scala Richter, è stata la «più intensa degli ultimi 40 anni», come ha spiegato l’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). Ma si tratta solo di uno degli oltre 80 eventi registrati nelle ultime settimane e giorni, un altro il 7 settembre con magnitudo di 3.8. Fanno parte di uno sciame sismico in corso, con l’ipocentro nella zona dei Campi Flegrei, tra Bagnoli e Pozzuoli, a una profondità di circa 3 chilometri. «Quello che sta accadendo è una normale attività tipica dei Campi Flegrei, che si chiama bradisismo», spiega Mauro Di Vito, direttore dell’Osservatorio vesuviano. Si tratta di un sollevamento e poi abbassamento del suolo, accompagnato da terremoti. È un fenomeno di origine vulcanica presente in modo evidente proprio ai Campi Flegrei, chiamato anche “respiro vulcanico”. «Avviene spesso, anche senza eruzioni. Al momento non ci sono evidenze per cui si possa pensare a un pericolo imminente, ma la situazione va tenuta sotto controllo con un monitoraggio più attento» spiega Di Vito. Non per niente negli ultimi giorni si è passati da un livello di allerta base a uno di attenzione, che prevede un incremento dell’attività di monitoraggio in tutta l’area, che in gergo si chiama “attenzione scientifica”. La preoccupazione da parte della popolazione, però, è evidente. «Quella che registriamo è un’attività vulcanica normale. Naturalmente il nostro lavoro è proprio quello di raccogliere tutti i dati disponibili, in un’area che è la più monitorata al mondo – spiega ancora Di Vito – per poter capire se ci sono cambiamenti nel sistema profondo». Il riferimento è al magma che potrebbe risalire in superficie o a una deformazione del suolo, «come avvenuto in passato in questo e in altri vulcani. Possiamo certamente dire che il fenomeno in corso è intenso, con un aumento anche nel numero di eventi e nella velocità di deformazione. Questo porta a un maggiore stress nelle rocce con un incremento della sismicità», chiarisce il direttore dell’Osservatorio. Finora si sono registrate 1200 scosse in un solo mese, con un sollevamento del terreno ad una media di 15 centimetri al mese, «sicuramente in aumento sia per quantità che per velocità di sollevamento, rispetto alla media rilevata dal 2005 in poi». Da qui la necessità di provvedere a misure di sicurezza da attuare in caso di emergenza, cioè di un’eruzione. Nelle scorse settimane c’è stato un vertice a Palazzo Chigi, che ha portato a un piano di emergenza che prevede quattro punti: la realizzazione un Piano di analisi della vulnerabilità del territorio, finanziato dalla Protezione civile nazionale; un Piano della comunicazione alla popolazione, che preveda anche il coinvolgimento degli alunni delle scuole primarie dei Comuni Flegrei; l’aggiornamento del Piano di emergenza e delle vie di fuga, anche con apposite esercitazioni periodiche; una verifica della rete infrastrutturale, per finanziare lavori di manutenzione straordinaria. «Già oggi, comunque, c’è un piano di emergenza, che viene messo a punto dalla Protezione Civile e periodicamente aggiornato», fanno sapere dall’Osservatorio vesuviano. Lo spettro è quello di una evacuazione, in caso di pericolo di eruzione del Vesuvio: «Il piano di emergenza viene fatto proprio questo: si analizzano le vie di fuga per poter procedere con l’allontanamento della popolazione in caso di necessità, se ci fosse un evento vulcanico. Ci sono state evacuazioni anche in passato, ma soprattutto per il rischio di crolli di case fatiscenti. In questo momento questa ipotesi non sembra esserci perché, come confermano gli ingegneri che si occupano di vagliare la sicurezza degli edifici, non ci sono problemi di questo tipo, neppure con le scosse di magnitudo 4.2 come l’ultima registrata», conclude Di Vito. D’altro canto è capitato diverse volte di dover evacuare la popolazione. Per esempio negli anni ’50, nel 1970 e nel 1984, quando si è assistito a tre fasi di sollevamento e due crisi bradisismiche. In particolare nelle ultime due si è dovuta evacuare Pozzuoli, la prima volta solo nell’area del centro storico, la seconda in tutta la città, interessando 60mila persone, a causa di numerosi terremoti che avevano reso pericolosa la permanenza. Oggi a complicare la situazione c’è il fatto che nell’area si è costruito molto e il numero di abitanti è cresciuto. «Le operazioni adesso sarebbero sicuramente più complesse, in relazione al numero di persone da allontanare. Parliamo di 350mila persone nella sola area rossa, non è operazione semplice. Per questo, però, esistono dei piani che dovrebbero assicurare che le procedure siano effettuate nel miglior modo possibile. Da un punto di vista pratico tutto ciò comporta valutazioni molto accurate», conferma Stefano Carlino, vulcanologo dello stesso Osservatorio. La buona notizia è che l’ultima eruzione risale al 1538. Ma si potrà prevederne una nuova eventuale, per tempo? «È possibile, ma non in maniera deterministica. Significa che non siamo in grado di indicare il momento esatto in cui il vulcano erutterà. Le stime di pericolosità, però, mediamente sono attendibili quando si monitora un vulcano così bene come nel caso dei Campi Flegrei», risponde il vulcanologo.   di Eleonora Lorusso

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