Immigrati e giovani studino il futuro, parla Billari
Demografia, immigrazione, Neet, università e posizioni estremiste: l’intervista al rettore della Bocconi, Francesco Billari
Il papà era immigrato dalla Calabria, la mamma dalla Sicilia. Si sarebbero incontrati a Milano mettendo su famiglia e portando avanti un negozio di sartoria. Il titolo di studio di entrambi era la quinta elementare, il figlio Francesco Billari è il rettore dell’Università Bocconi di Milano. Una di quelle storie altamente istruttive sull’immigrazione interna italiana. Statistico specializzato in demografia, Billari ama osservare alcuni dei problemi fonti di grandi polemiche con l’occhio dello scienziato alla guida di una delle più prestigiose università italiane, con il suo carico di ragazzi e speranze.
A proposito di demografia, l’immagine dell’‘inverno’ è abusata: «C’è almeno la consapevolezza che l’Italia è in una situazione eccezionale: è uno dei Paesi con più anziani al mondo, dietro al Principato di Monaco e al Giappone» ci dice. «Il nostro numero di figli per coppia è il più basso in assoluto e i giovani restano a casa più a lungo. Purtroppo non si cambia da un momento all’altro e qui ci soccorre la metafora dell’orologio di Alfred Sauvy: la politica si muove come la lancetta dei secondi, l’economia come quella dei minuti, mentre la demografia ha il ritmo della lancetta più lenta, quella delle ore. Qualcosa però possiamo fare, imparando dagli altri su immigrazione e occupazione femminile».
Tanto per cominciare, studiamo poco: «Il tasso di laureati è appena del 30%, ce la giochiamo con la Romania. L’Italia spreca molti giovani, spesso di origine straniera. Ne abbiamo pochi e anche poco preparati e tutti i test ci vedono in fondo alla classifica. Faccio un esempio lontano: la Corea del Sud ha problemi demografici simili ma il 70% dei laureati». Nel mondo ultra competitivo di oggi se non ci prepareremo andremo fuori gioco e Francesco Billari non ha dubbi: «Tutti dovrebbero essere più preparati, adulti compresi. Non possiamo permetterci i Neet, bisogna includere i giovani che hanno perso le speranze e le donne, senza dimenticare la bassa partecipazione degli uomini. Se ne parla poco ma abbiamo anche il più basso tasso di occupazione maschile in Europa». Per lui l’immigrazione è una straordinaria opportunità: «Gli Stati Uniti sono cresciuti nella diversità più totale perché la diversità è ricchezza. Non abbiamo realizzato che la scuola doveva cambiare con il cambiamento demografico e invece abbiamo incoraggiato la polarizzazione: classi con troppi figli di immigrati o con troppi italiani. Con il 15% di nati con entrambi genitori stranieri la scuola non può non cambiare. Anche nei suoi tempi: serve l’accorciamento delle vacanze estive. Lasciamo indietro dei potenziali talenti: lo vediamo bene nello sport, lo potremmo vedere in altri campi».
Sul caso delle dimissioni di alcuni dei rettori delle più prestigiose università Usa per aver difeso posizioni estremiste, Billari ricorda che «la situazione è problematica anche a Oxford dove ho insegnato. Sono sempre stato colpito dal fatto che ci possa esser chi chieda le dimissioni di un professore perché ha idee diverse o affronta temi scomodi. Non fa bene al sistema universitario. Alcuni dei rettori in questione hanno però difeso posizioni intolleranti degli studenti e questo non è accettabile. Non c’è cittadinanza per la discriminazione e l’errore è stato proprio tollerarla, in quel caso contro gli ebrei. Poi ci sono le esagerazioni: negli Usa circolano studi che propongono test d’intelligenza in base alle diverse etnie. In realtà misurano soltanto l’esito di processi sociali secolari: l’intelligenza non dipende certo dall’essere maschio o femmina, bianco o nero. La selezione sociale è esistita ed esiste. Compito degli studiosi è ricordarlo, sottolinearne gli effetti e promuovere la diversità, che è comunque positiva».
Di Fulvio Giuliani
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