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Kissinger, la scomparsa di un idealista senza eredi

Kissinger: visionario, aperto al dialogo con Cina e Russia, lascia alcuni moniti, come quello sui rischi dell’uso dell’AI in campo militare
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Si è spento a 100 anni uno dei giganti della storia moderna, un personaggio che ha superato i limiti temporali dei mandati di ben 12 capi della Casa Bianca e quelli geografici degli Usa. «Ha rappresentato la quintessenza del “consigliere del Principe”, ha servito come consigliere di 12 Presidenti americani, lavorando dall’interno delle istituzioni per 4 di questi. Poi da metà degli anni 70’, quando ha lasciato gli incarichi ufficiali, per 50 anni ha svolto attività di consulenza per tutti, da Carter fino a Biden. Ha incarnato la perfetta figura del consulente. È stato emblematico: all’inizio della carriera è entrato nelle istituzioni da accademico, poi è stato il primo consigliere “politicizzato”, legato soprattutto al partito repubblicano, chiudendo un’epoca in cui i funzionari di politica estera potevano tranquillamente transitare da un presidente all’altro. In seguito ha anche fondato la sua Kissinger Associates, che ha messo a disposizione le sue profonde entrature nell’anticamera del potere americano a tantissime grandi corporation e anche a Governi stranieri, diventando consulente per quello cinese e russo, e svolgendo un’attività considerata utile dagli stessi presidenti americani per mantenere un canale aperto con queste potenze», spiega Federico Petroni, curatore di Fiamme americane, Osservatorio sugli Stati Uniti di Limes. Henry Kissinger è rimasto attivo fino a pochi giorni prima della sua morte, intervenendo su temi scottanti, come i rapporti con la Cina. «È stato il primo a parlare di diplomazia nella guerra in Ucraina a maggio del 2022, intravedendo l’impossibilità di infliggere una sconfitta alla Russia. Poi ha avuto un ruolo di primo piano fino al giorno prima di morire, letteralmente: ha consegnato la sua eredità ai posteri, che consiste nel dovere da parte dei dirigenti di Stati Uniti e Cina di non far scadere le relazioni bilaterali in un aperto conflitto che – ha sottolineato – sarebbe una catastrofe per l’umanità, vista la potenza distruttiva degli armamenti odierni», ricorda ancora Petroni. La sua visione del mondo è stata ritenuta “idealista”: «Riteneva possibile creare un ordine mondiale a due, cioè Stati Uniti e Cina. Non solo, infatti, permise la visita di Nixon a Pechino, creando una frattura nel blocco comunista tra Mosca e Pechino all’epoca di Mao, ma addirittura pensava che fosse possibile “integrare” in qualche modo la Cina al mondo statunitense. Oggi si è visto che questo non è possibile, ma è proprio il motivo per cui si rischia mondiale tra queste due potenze», sottolinea l’analista. A dispetto dei suoi 100 anni, inoltre, era proiettato al futuro, tanto da aver parlato di Intelligenza artificiale (e del suo impiego nel campo militare) solo una settimana fa su Foreign Affairs: «Kissinger ha ritenuto l’AI una minaccia per l’umanità, non tanto in senso catastrofista, quanto perché comprime i tempi del processo decisionale. In questo modo rischia di togliere la profondità e ponderazione necessarie a prendere decisioni importanti in tema di sicurezza nazionale. Ha anche invocato un controllo degli armamenti che integrano sempre più l’AI. Non da ultimo riteneva che l’AI fosse una invenzione paragonabile alla stampa nel ‘500, ma privata del suo aspetto intellettuale: una rivoluzione, quindi, che toglie all’intelletto umano invece di aggiungere. Negli ultimi tempi, infatti, era arrivato ad affermare che studiare un libro fosse un’attività controcorrente», spiega Petroni. Di certo oggi il mondo appare orfano non solo di Kissinger, ma anche di un possibile erede: «Appare impossibile attuare ciò che invece era caro a Kissinger, sia come statista che analista: integrare il punto di vista altrui nella propria analisi. Gli Usa sono convinti, per tradizione, di parlare a nome dell’umanità quindi difficilmente accettano un punto di vista contraddittorio rispetto al proprio. Lui, invece, usava questo metodo nel rapportarsi ai leaders mondiali, per capire le loro intenzioni e trovare un possibile compromesso. Oggi si fatica a vedere nella classe dirigente americana delle stesse capacità, nonostante il personaggio sia molto studiato: basti pensare che la John Hopkins University, uno degli atenei dal quale esce larga parte della classe dirigente americana, ha ripubblicato la tesi di laurea di Kissinger degli anni ’50, dedicata a Kant, il che conferma il suo profondo idealista. Non a caso il suo biografo ha intitolato il libro dedicato a Kissinger The Idealist», conclude Petroni.   di Eleonora Lorusso

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