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Ue al bivio sull’Ucraina, parla il generale Antonio Li Gobbi

Questione di realismo: “Più che a una pace giusta bisogna pensare a una pace possibile”.  Le parole del generale Antonio Li Gobbi

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Questione di realismo: «Più che a una pace giusta bisogna pensare a una pace possibile». Così il generale Antonio Li Gobbigià Capo reparto operazioni del Comando operativo di vertice interforze (Coi) e Direttore delle operazioni presso lo Stato maggiore internazionale della Nato a Bruxelles. Dopo la bufera sulla proposta francese di inviare a Kiev militari dell’Alleanza Atlantica, Bruxelles non esclude l’impiego dei proventi degli asset congelati della Russia per acquistare armi da inviare all’Ucraina: 200 miliardi di euro che fruttano circa 3 miliardi di euro l’anno. «È un’idea che richiede una valutazione giuridica, per capire se sia corretto secondo il diritto internazionale e utile in termini di credibilità con l’estero: un investitore potrebbe essere disincentivato all’idea di vedersi congelare interessi per questioni che dipendono dal suo governo» ci dice Li Gobbi

Quanto alla situazione sul campo, il generale aggiunge: «La Russia non ha vinto e si è dimostrata più vulnerabile del previsto, ma l’Ucraina è in difficoltà e continua a subire perdite ingenti». La Russia ne subisce molte di più ma ha un dittatore che non se ne cura minimamente e una pubblica opinione completamente anestetizzata e asservita. A oggi Kiev conta su 500mila soldati, un terzo di quelli russi. Da qui la proposta-provocazione di Macron, sulla quale Li Gobbi osserva: «Credo ci siano solo due alternative. O si avvia una trattativa sulla base delle posizioni attuali sul terreno, dunque per ottenere non tanto una pace ‘giusta’, quanto una pace ‘possibile’. Oppure occorre un intervento più massiccio da parte di singole nazioni o dell’Alleanza stessa. Tertium non datur». Un dato è certo e il recente Consiglio europeo lo ha confermato: tutto passa dagli aiuti occidentali, che sono dettati anche da tempi legati alle difficoltà di ciascun governo.

Guardando al domani della difesa comune, l’Ue fa i conti con eserciti sempre meno numerosi che in alcuni casi rappresentano un problema anche per la propria sicurezza. Secondo “Politico”, in Germania in organico sono rimasti appena 181.514 militari. In Francia i militari abbandonano la divisa un anno prima rispetto al passato. Nel Regno Unito ci si affida a contractor privati per far fronte a un deficit di oltre mille militari l’anno. Il problema riguarda «tutte le democrazie che hanno eserciti professionali senza coscrizione» ha dichiarato il ministro francese della Difesa Sebastien Lecornu. Spiega Li Gobbi: «È difficile paragonare le diverse realtà europee ed extraeuropee come quelle anglosassoni di Regno Unito e Usa, dove il sistema di reclutamento è diverso e da tempo c’è un esercito di soli professionisti. Incentivi economici sono sempre positivi, ma andrebbe rivisto il modello generale. Credo che la leva obbligatoria non sia la soluzione. Piuttosto potrebbe funzionare una riserva selezionata, di tecnici, a patto di prevedere un richiamo regolare per l’addestramento e una legislazione che permetta a queste persone dei distacchi temporanei e soprattutto dei rientri alle proprie occupazioni civili senza conseguenze negative». Un modello che sembra richiamare quello dei riservisti israeliani, tranne ovviamente il massiccio ricorso alla leva indispensabile a quel piccolo Paese in uno stato di guerra semi permanente.

di Eleonora Lorusso

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