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Ada Lovelace, la donna che teorizzò il primo software della storia

Ada Lovelace, figlia di Lord Byron, nel 1843 sviluppa un algoritmo tramite cui prefigura il concetto di intelligenza artificiale ma inizialmente non ne viene compresa l’importanza

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Ada Lovelace, la donna che teorizzò il primo software della storia

Ada Lovelace, figlia di Lord Byron, nel 1843 sviluppa un algoritmo tramite cui prefigura il concetto di intelligenza artificiale ma inizialmente non ne viene compresa l’importanza

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Ada Lovelace, la donna che teorizzò il primo software della storia

Ada Lovelace, figlia di Lord Byron, nel 1843 sviluppa un algoritmo tramite cui prefigura il concetto di intelligenza artificiale ma inizialmente non ne viene compresa l’importanza

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Ada Lovelace, figlia di Lord Byron, nel 1843 sviluppa un algoritmo tramite cui prefigura il concetto di intelligenza artificiale ma inizialmente non ne viene compresa l’importanza

Una ragazza sta lavorando seduta a un tavolo. Butta giù formule, numeri, modelli di calcolo e alla fine concepisce un algoritmo. Non uno qualsiasi, ma il primo adatto per essere elaborato da una macchina. Circostanza ancor più sorprendente, la ragazza vive nell’Inghilterra del 1843, il suo nome è Ada, ha un padre poeta (Lord Byron) e una madre illustre matematica: Anne Isabella Milbanke, “la regina dei parallelepipedi”. Il papà poeta influirà ben poco sull’educazione della figlia, visto che – per fuggire ai creditori – lascerà la famiglia e non avrà praticamente alcun rapporto con Ada. Tocca dunque alla madre orientarla verso lo studio della matematica con lo scopo di distoglierla dalla passione per la poesia ereditata dal padre.

Cagionevole di salute (subisce una paralisi infantile da morbillo che la costringe all’immobilità per due anni), Ada si concentra sullo studio. Anche perché, grazie ai buoni uffici materni, ha come insegnanti Mary Sommerville – i cui testi sono in uso a Cambridge – e Augustus De Morgan, professore di algebra all’Università di Londra. Proprio quest’ultimo ne intuisce lo straordinario talento. Durante un ricevimento la presenta a Charles Babbage, che ha appena inventato un primo esempio di calcolatore meccanico: la “macchina differenziale”. Ada inizia a studiarla e capisce che quello strumento, praticamente irrealizzabile per l’epoca, può in realtà sviluppare innumerevoli modelli di calcolo evolvendosi in una “macchina analitica”. I risultati dei suoi studi sono così sorprendenti che le viene attribuito il soprannome di “incantatrice dei numeri”.

Nel frattempo ha sposato William King-Noel, è divenuta contessa di Lovelace e ha avuto tre figli. È a questo punto che incrocia la sua strada con quella di Luigi Federico Menabrea, giovane ingegnere e futuro primo ministro del Regno d’Italia, col quale inizia una collaborazione. I due continuano a lavorare sull’evoluzione dell’idea di Babbage e nel 1843 Ada Lovelace sviluppa un algoritmo tramite cui prefigura il concetto di intelligenza artificiale, spingendosi ad affermare che la macchina analitica sarebbe stata cruciale per il futuro della scienza. Quando Babbage viene a conoscenza delle conclusioni a cui è giunta Ada, comprende che quella ragazza ha immaginato il futuro. Chiede allora a gran voce al governo britannico di finanziare la costruzione della sua macchina, convinto che quella scoperta avrebbe fatto fare all’umanità un balzo tecnologico incredibile. Babbage morirà senza aver mai ricevuto risposta, solo e in povertà. Per la delusione Ada abbandona gli studi scientifici e si rifugia nell’alcol e negli oppiacei. Se ne andrà nel 1852.

I suoi appunti diventeranno di dominio pubblico a un secolo di distanza, nel 1953. Soltanto allora il mondo scientifico si renderà conto che quella donna aveva teorizzato il primo modello di software della storia. La sua influenza sarà tale che il linguaggio di programmazione Ada – il cui sviluppo è stato finanziato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Unitiviene così chiamato in suo onore. Prima di morire aveva espresso un’unica volontà: essere sepolta accanto a quel padre che non aveva mai conosciuto fino in fondo. Ma al quale era accomunata da un destino: lasciare un segno indelebile nella storia di questo mondo.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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