La noia creativa, fra la cumbia di Angelina Mango e la letteratura
| Cultura
La noia creativa, necessaria. Bisogna porre attenzione ai versi della canzone “La noia”, brano con cui Angelina Mango ha trionfato alla 74esima edizione del Festival di Sanremo

La noia creativa, fra la cumbia di Angelina Mango e la letteratura
La noia creativa, necessaria. Bisogna porre attenzione ai versi della canzone “La noia”, brano con cui Angelina Mango ha trionfato alla 74esima edizione del Festival di Sanremo
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La noia creativa, fra la cumbia di Angelina Mango e la letteratura
La noia creativa, necessaria. Bisogna porre attenzione ai versi della canzone “La noia”, brano con cui Angelina Mango ha trionfato alla 74esima edizione del Festival di Sanremo
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«Penso che la noia sia essenziale e che quei momenti in cui arriva siano del tempo in più che abbiamo, non del tempo perso». È sofisticato il commento con cui Angelina Mango ha cercato di restituire il senso della sua “La noia”, dopo aver conquistato il primo gradino del podio di Sanremo. A dispetto della sua giovane età (23 anni il prossimo aprile), la cantante che ha trionfato ispirandosi ai ritmi della cumbia – un canto e una danza popolare colombiana e panamense – sembrerebbe così smentire la stessa idea contemporanea di tempo come spazio da riempire a tutti i costi, movimento perenne per non affondare nelle sabbie mobili della noia, vera nevrosi collettiva di oggi nata dal terrore dell’inazione.
Tutt’altra l’elaborazione letteraria e filosofica della noia che, accanto all’amore e alla morte, è probabilmente il concetto più frequentato nella storia speculativa di tutti i tempi. Già Seneca nel “De tranquillitate animi” parla di un «insensato attivismo» che non fa altro che rendere l’uomo ancora più inquieto e consapevole dei suoi fallimenti. Ma che l’infelicità dell’uomo sia semplicemente «quella di non riuscire a starsene tranquilli in una stanza», lo scriveva compiutamente Pascal verso la metà del 1600 nei suoi “Pensieri”. Mentre in una lettera del 1817, indirizzata al letterato Pietro Giordani, Giacomo Leopardi riconosceva in questo sentimento che chiama il «vizio dell’absence» un suo difetto, una malattia spirituale che lo porta a non saper accettare il mondo così com’è nella sua mediocrità. Impossibile infine non citare “La noia”, l’opera in cui Alberto Moravia riprende i temi de “Gli indifferenti”, rappresentando lo sfacelo del mondo borghese: «Soprattutto quando ero bambino, la noia assumeva forme del tutto oscure a me stesso e agli altri, che io ero incapace di spiegare e che gli altri, nel caso di mia madre, attribuivano a disturbi della salute o altre simili cause».
Ecco che – seppure attraverso filtri diversi, per cultura e sensibilità – ogni autore immerso nel proprio tempo declina la noia essenzialmente come critica a una condizione che non sente come autentica e verso cui sceglie di definirsi per contraddizione. La noia necessaria, dunque. Come tempo privilegiato per osservare, riflettere, immaginare, creare: da consacrare come vero e proprio diritto. Il diritto a un tempo vuoto, a uno spazio elastico che consenta di provare ad andare oltre. Non poteva mancare lo studio di un gruppo di ricercatori britannici, pubblicato sulla rivista della “British Psychological Society”: a 80 individui adulti divisi in due gruppi sono state date due tazze ciascuno di polistirene, chiedendo loro di pensare a tutti i loro possibili usi. A un gruppo è stato chiesto di svolgere un compito noioso per 15 minuti, al secondo no: è emerso che proprio quelli che si erano annoiati di più avevano anche avuto il maggior numero di idee. Il potere creativo della noia!
Ecco che i versi de “La noia” sanremese appaiono sensati: «Mi hanno detto che la vita è preziosa / Io la indosso a testa alta sul collo / La mia collana non ha perle di saggezza / A me hanno dato le perline colorate / Per le bimbe incasinate con i traumi / Da snodare piano piano con l’età / È la cumbia della noia». Forse, per sfuggire davvero alla noia, occorrerebbe restare fermi ad aspettare.
di Ilaria Donatio
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