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Le fotografie di Oliviero Toscani

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Labbrate. Se dovessimo riassumere in una parola le fotografie di Oliviero Toscani, morto ieri, questa è la più appropriata. Ogni spicchio della sua iconografia è andata ben oltre lo scandalo

Le fotografie di Oliviero Toscani

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Labbrate. Se dovessimo riassumere in una parola le fotografie di Oliviero Toscani, morto ieri, questa è la più appropriata. Ogni spicchio della sua iconografia è andata ben oltre lo scandalo

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Le fotografie di Oliviero Toscani

Labbrate. Se dovessimo riassumere in una parola le fotografie di Oliviero Toscani, morto ieri, questa è la più appropriata. Ogni spicchio della sua iconografia è andata ben oltre lo scandalo

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Labbrate. Se dovessimo riassumere in una parola le fotografie di Oliviero Toscani, morto ieri, questa è la più appropriata. Ogni idea, ogni dettaglio, ogni spicchio della sua iconografia è andata infatti ben oltre lo scandalo, che era un pretesto – questo sì – per destare stupore o indignazione negli spettatori. Anzi, nei consumatori. Sì, proprio loro. Quelli che comprano e che hanno incarnato il naturale destinatario pubblico di quella che è stata la stagione più creativa e migliore di Toscani, il sodalizio con il marchio Benetton e in particolare – per empatia e amicizia – con Luciano Benetton. Il fotografo e il mecenate, perché la storia dell’arte e quella della pubblicità sono storie della committenza prima ancora che degli artisti e dei fotografi.

Nel 1991, dopo gli scoppiettanti anni Ottanta, presentando la nuova campagna Benetton per la collezione primavera-estate (quella con i manifesti dove i classici “United Colors of Benetton” erano simboleggiati da una sfilata di profilattici) Toscani spiegò così la sua filosofia creativa: «Oggi i prodotti sono tutti uguali, l’unica ricchezza di un’azienda è l’immagine. In tutta la pubblicità Benetton c’è un filo conduttore rappresentato dal non mostrare mai i prodotti e dal collegare sempre il marchio alla cronaca e alle nuove tendenze emergenti». Eccoli dunque in coppia l’attualità e il sociale: la sua intuizione ma alla fine – soprattutto a forza di reiterazioni – pure il suo limite. Perché, come scrisse Ennio Flaiano nel 1964 dopo aver assistito a teatro a una “Salomè” di Carmelo Bene, «detesto chi fa i baffi alla Gioconda, ma non ho niente da dire a chi la prende a pugnalate». E Toscani, con la sua fotografia, s’è fermato alle labbrate.

di Massimiliano Lenzi

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